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Numero 4(68)
Spari a Belgrado

    Si vede che la storia “gira in tondo” non solo in Russia. Il 12 marzo, nei pressi della Casa del Governo a Belgrado, con due spari da un fucile da cecchino di grosso calibro è stato ucciso il primo ministro di Serbia Zoran Gingic.
    Subito dopo l’attentato sono state fatte alcune ipotesi in merito ai suoi motivi. Quella ufficiale dice che l’omicidio di Gingic sarebbe stato organizzato e messo in atto dal gruppo criminale di Belgrado “Clan di Zemun”, probabilmente la banda più potente dei Balcani, che controlla una parte notevole dell’economia sommersa serba. Poco tempo prima, dopo aver cambiato i dirigenti dei servizi segreti, Gingic aveva proclamato l’inizio di una guerra senza pieta’ contro la malavita. Le malelingue del resto affermano che in tal modo il premier voleva impossessarsi lui stesso dei principali flussi finanziari del Paese.
    “Il clan di Zemun” comprende più di 200 persone. Milorad Lukovic, il leader del gruppo, soprannominato “Lehia”, era stato un tempo comandante delle teste di cuoio della direzione di pubblica sicurezza del Ministero degli interni di Serbia. Secondo il Governo, gli uomini di Lukovic sarebbero responsabili di oltre 50 assassinii in Serbia, avvenuti nel corso degli ultimi due anni. “Lehia” in particolare è ritenuto l’organizzatore di decine di rapine, compresa quella di Ivan Stambolic, l’ex Presidente della Serbia, e dell’attentato alla vita di un altro politico serbo di spicco, Vuk Draskovic. Il braccio destro di Lukovic, Dejan Milenkovic, è sospettato di aver organizzato l’attentato fallito contro Gingic, avvenuto a febbraio.
    Un’altra ipotesi presume una resa dei conti tra politici. Velimir Ilic, il leader del partito “Serbia nuova”, rileva: “A Gingic era stato accennato che poteva essere pericoloso emarginare coloro che l’avevano portato al potere”. Molti ricordano la delusione di massa provata dalla popolazione serba per la politica di Gingic, che per ora non ha portato ad alcun miglioramento visibile della situazione, ma ha tolto alla gente l’ afflato ideologico rappresentato dal mito della Grande Serbia.
    L’attentato ha sconvolto non solo la Serbia e i Balcani, dove tali modi di fare sembravano ormai sorpassati, dopo l’abbattimento di Slobodan Milosevic, le dimissioni del leader musulmano Isetbegovic e la morte di Franjo Tudjiman, “il padre della nazione croata”, ma il mondo intero. Il decesso di Gingic è la prima morte violenta di un capo di Governo europeo in carica dal 1986, quando era stato ammazzato il premier svedese Ulof Palme.
    Sono sorti dei timori secondo cui “con la morte di Gingic nel Paese torneranno i tempi bui del passato”. Il caos potrebbe instaurarsi non solo in Serbia, ma anche in tutto il nuovo organismo statale della Serbia e Montenegro. I premier di ciascuna delle due repubbliche sono i pilastri dell’ordinamento statale. E un altro politico come Gingic, con la stessa autorevolezza, non esiste proprio. Non si capisce quindi chi potra’ succedere a Gingic, e se il mondo non riceverà’ una copia ridimensionata di Slobodan Milosevic, come il nuovo leader serbo.
    Le autorità’ serbe, del resto, non si danno al panico. Il vice premier Neboisa Covic è stato nominato primo ministro ad interim. In Serbia è stato proclamato un lutto di tre giorni. I funerali di Zoran Gingic si sono svolti il 15 marzo. A mezzogiorno dello stesso giorno si e’ svolta una messa funebre, condotta da Pavle, il Patriarca della Chiesa ortodossa serba. Gingic è stato seppellito al Cimitero nuovo di Belgrado. Le condoglianze sono state espresse dai maggiori leader della comunità’ internazionale. La dirigenza politica della Russia ha espresso la propria indignazione per l’omiciodio del primo ministro di Serbia. Nella dichiarazione del Ministero degli esteri si rileva che Mosca apprezza molto i meriti di Zoran Gingic nella trasformazione democratica della Serbia. I deputati del Parlamento europeo hanno commemorato Gingic con un minuto di raccoglimento. Pat Cox, il presidente del Parlamento europeo, ha detto che Gingic sarà’ ricordato per “il suo ruolo nell’estradizione di Slobodan Milosevic al tribunale dell’Aia”.
    In Serbia è stato subito introdotto lo stato di emergenza. La polizia è stata autorizzata a fermare tutti i sospetti per un periodo sino a 30 giorni, senza il diritto di chiamare gli avvocati. Sono già’ state arrestate circa 200 persone. I servizi segreti sono autorizzati a controllare la corrispondenza privata dei cittadini. Qualsiasi azione investigativa può essere realizzata senza il permesso del tribunale. E’ vietata la pubblicazione di informazioni non ufficiali sull’andamento delle indagini. Inoltre, il Consiglio di sicurezza del Paese ha ordinato ai militari di assistere la polizia nelle ricerche dei partecipanti all’attentato. Lo stato d’emergenza rimarrà’ in vigore fino a quando le autorità’ non trovino gli esecutori e i mandanti del reato.

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