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Numero 6(70)
Saddam sarà un altro Bin Laden

    Più si allontana nel passato la scena della trionfale presa di Baghdad da parte delle truppe americane, più numerose spuntano le versioni sulle cause della caduta del regime di Saddam. Per il momento si dice che la più probabile è anche la piu’ banale: la corruzione. L’evidenza di questa versione si accredita sempre di più soprattutto dopo che una parte dell’élite irachena dal famoso “elenco dei 55”, in particolare il vice primo ministro Tarik Aziz si è arresa da sola in cambio della totale impunita’.
    Attualmente questo elenco si è ridotto quasi della metà. Si comunica addirittura che gli americani sono in trattativa con i figli di Saddam Hussein, Uday e Kusay, perche’ si consegnino alle truppe americane. Però queste trattative, supponendo che siano in corso, possono essere messe in questione per l’intenzione degli USA di istituire un tribunale speciale, con l’obiettivo di fare un processo contro la direzione statale irachena. Però non si sa a quale titolo procederà questo tribunale, visto che l’ONU con poche probabilità sancirebbe i suoi procedimenti. Nel contempo il motivo formale dell’ intervento in Iraq – la presenza cola’ di stock di armi di distruzione di massa – viene sempre più relegata al secondo piano. Infatti recentemente gli americani hanno riconosciuto di fatto di non avere trovato nulla, ed è poco probabile che trovino qualcosa – a causa dell’assenza in assoluto di quanto cercato. Un riconoscimento di tale circostanza per poco non portava alla caduta del premier britannico T. Blair, perché certi deputati del suo partito erano indignati per tanta ipocrisia. D’altronde formalmente la guerra è finita – lo ha dichiarato il 5 maggio George Bush in un discorso fatto a bordo della portaerei “Abraham Lincoln” in navigazione nel golfo Persico. Ma questo in sede ufficiale; in pratica invece gli americani in Iraq lamentano per lo più quello che gia’ hanno sperimentato le truppe sovietiche in Afganistan e quelle russe in Cecenia: agguati, sparatorie da parte di “ignoti”, manifestazioni di protesta di massa, per cui a Mossul i soldati americani hanno dovuto sparare sulla folla. I leader di varie fazioni non possono mettersi d’accordo circa la ripartizione delle cariche in seno al futuro governo. Il capo della più influente organizzazione di opposizione a Saddam, l’ayatollah al-Bakr, ha già chiamato i suoi adepti a non collaborare con gli americani.
    Inoltre emerge l’evidenza che gli USA e la Gran Bretagna praticamente non si sono preparate all’occupazione, siccome contavano di entrare in possesso di un paese sano e salvo. Gli iracheni sono sempre più esasperati per quello che dopo più di un mese dal rovesciamento del regime di Saddam Hussein, il paese si trova sempre nel caos e nella miseria. Le strade sono sempre pericolose, i ministeri non si sono rimessi a funzionare, gli stipendi non vengono pagati. I servizi sociali non sono stati ripristinati, non si effettuano la raccolta delle immondizie e la pulizia delle strade, mentre l’erogazione dell’energia elettrica a Baghdad sarà ripristinata solo fra due mesi.
    Lo smembramento dell’Iraq in tre settori di occupazione ha provocato un nuovo scandalo, questa volta in Europa. Il titolo di terzo paese occupante, in riconoscimento del sostegno, è stato assegnato alla Polonia. Però l’occupante fresco di nomina non sa troppo dove andare a trovare le truppe necessarie al controllo del Kurdistan Iracheno.
    Inoltre nel mondo si riaccende sempre di più lo scandalo della rapina dei musei iracheni. Sempre più voci rimproverano gli USA di averla quasi favorita. E una serie di fermi agli aeroporti di militari e giornalisti che trasportavano “trofei” non fa che dare una conferma a queste accuse. D’altronde per qualche motivo agli USA mancano i soldati anche per custodire gli impianti nucleari e i centri medici a Baghdad, da dove il 18 aprile sono stati rubati virus pericolosi. A questo punto per tutta risposta gli USA hanno solo effettuato urgenti rimpasti dei dirigenti. Invece del generale dimissionario D. Garner, capo dell’amministrazione civile dell’Iraq è diventato il diplomatico di carriera P. Bremer, investito del titolo di inviato straordinario del presidente americano. Alla Casa Bianca evidentemente si spera che i talenti diplomatici di Bremer gli permettano di formare un governo con il massimo di appoggio possibile per un governo che aprioristicamente viene reputato come un governo fantoccio. Inoltre in Iraq vengono inviate truppe di rinforzo, in sostituzione di quelle inglesi e australiane che si ritirano con urgenza. Questo è necessario per stabilizzare almeno in parte la situazione, e per mettere un po’ d’ ordine nel pasticcio delle milizie di vario genere dei leader locali, dei resti di forze militari dei fautori del regime abbattuto, delle unità curde e sciite, e semplicemente di vari banditi. Con tutto ciò i piani precedenti di una campagna militare contro la Siria e l’Iran, sono abbandonati o rimandati a tempi migliori.
    Comunque adesso gli USA si danno con energia alle attività di lobby per ottenere una nuova risoluzione per l’ Iraq all’ONU. Il progetto americano di risoluzione sull’Iraq congloberà tutto un complesso di problemi: dalla constatazione della legittimità dell’operazione alleata contro Baghdad all’ eliminazione delle sanzioni contro l’Iraq ed all’espressione di risolutezza da parte della comunità internazionale di impedire la depredazione dei reperti storici iracheni. Il punto chiave della risoluzione deve diventare quello sull’immediata abolizione dell’embargo contro l’Iraq richiesta con insistenza da Washington. Si prevede di indirizzare i proventi derivanti dal commercio del petrolio alla costituzione di fondazioni ad hoc che finanzieranno la ricostruzione del paese nel dopoguerra.
    Intanto la Russia continua a dar prova di un certo distacco, cercando di conservare le posizioni che aveva in Iraq, o almeno di cederle ricavandone il massimo possibile. A Mosca la revoca delle sanzioni è stata percepita con molta reticenza, e si diceva che gli USA avevano il diritto di abolire solo quelle sanzioni che avevano introdotto unilateralmente nel 1991, per esempio il divieto dei bonifici privati, mentre per togliere le sanzioni imposte dall’ONU ci vuole una delibera del Consiglio di Sicurezza, impossibile da adottare senza l’appoggio della Russia. Inoltre, perché il Consiglio di sicurezza deliberi in tal senso gli USA dovranno ammettere in pubblico che il casus belli era fasullo, il che ovviamente non è poi tanto gradevole. Poi, per quello che è del condono dei debiti, la Russia insiste sulla lunga procedura legale di discussione della possibilità di loro cancellazione tramite il Club di Londra e quello di Parigi. Gli USA a loro volta cercano di mantenere rapporti normali con la Russia. Non è un caso che sia stata divulgata la frase di C. Rice, assistente di Bush per la sicurezza nazionale: “Punire la Francia, dimenticare la Germania, perdonare la Russia”.
    Però tutto può seguire un’altra sceneggiatura. Non è da escludersi che l’attenzione degli USA sarà distolta dall’Iraq per andare verso la Corea del Nord, che continua a fare mosse brusche dichiarando a chiare note di essere in possesso di armi nucleari, e confermando di essere pronta a farne l’uso in caso di “aggressione”. In questo caso è certo che gli eventi in Iraq ripeteranno esattamente la versione afgana – con un governo che controlla solo la capitale e ciò con l’appoggio delle guarnigioni straniere, e con la provincia frazionata tra svariati caporioni locali.
    E allora da qualche parte riemergerà Saddam o quella persona che a nome suo usa diramare proclami verbali registrati tramite i principali mass media, e l’America nella sua persona si procurerà un altro Bin Laden.

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