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Numero 9(73)
Collage

    Il Museo delle collezioni prvate ospita una mostra che fa parte del ciclo denominato “L’arte grafica nel XX secolo”.
    L’esposizione attuale concentra l’ attenzione sull’arte del collage. Due progetti precedenti di questo ciclo si chiamavano “Il libro dell’artista. Dagli anni 60 agli anni 90” e “Le metamorfosi della carta”. La terza mostra continua ad esaminare le zone periferiche del concetto della “grafica”, che confinano con gli altri settori dell’arte figurativa. “Il libro dell’artista” presentava un libro come oggetto d’autore, “Le metamorfosi della carta”, a parte il resto, includevano ad esempio una scultura tridimensionale di carta. “Il collage in Russia”, come le mostre precedenti, fa vedere ciò che viene annoverato come arte grafica su intesa dei critici d’arte, per facilitare la classificazione museale, ma in realtà si tratta di un comparto dell’arte assolutamente singolare.
    A dire il vero, esistono parecchi termini che descrivono quegli oggetti che decorano oggi le pareti del museo in via Volkhonka. “applicazione”, “assemblaggio”, “fotomontaggio”, o semplicemente “montaggio”: tutte queste parole equivalgono a “collage”. Aleksej Kruchenyx, per definire la tecnica dell’album “Guerra universale”, che aveva fatto insieme ad Olga Rozanova negli anni 1916-1917, proponeva di usare la parola “colla”, oppure “colla colorata”. Dalla fine degli anni ‘10 peraltro proprio il termine francese “collage” viene generalmente applicato per descrivere sia la tecnica, sia l’opera realizzata con tale tecnica.
    Non è nel XX secolo che si cominciò ad incollare, cucire e mettere elementi difformi su un piano. Le cornici delle icone rappresentano, ad esempio, una tipica applicazione. Ma il secolo scorso si è innamorato di questo metodo, e ne ha accentuato il valore artistico. Si potrebbe dire che il collage è venuto con il Novecento. Insieme alla scissione di un quadro compiuto del mondo, insieme agli spostamenti, ai dissidi e al caos all’interno e fuori dell’uomo. Non a caso il termine “collage” si ambientò inizialmente nell’opera dei tipici “figli del secolo”, futuristi italiani, dadaisti e surrealisti.
    Volendo trovare i pionieri di quest’arte in terra russa, vengono subito alla mente i membri del gruppo “Fante di quadri” e il quadro da crestomazia di Petr Koncialovski “Colori secchi” (1913), in cui nella natuta morta dipinta ad olio è inserita un’ etichetta di carta. Ma siamo solo agli inizi. Più tardi un procedimento tecnico, uno di parecchi mezzi raffigurativi, ha l’ ardire di farsi autonomo. E proprio ad esso si dedicano i maestri così bravi come Kuprin, Ekster, Lissitskij, Rodcenko, Klutsis... Si fa uso di ritagli di giornale, pezzi di carta o di tessuto, corde, fotografie, ecc. Anche i controrilievi di Tatlin, tutto sommato, possono essere definiti collage, o più precisamente, assemblaggi. A proposito, il collage e l’applicazione diventano materie di studio nella leggendaria scuola superiore VHUTEMAS (Laboratori tecnico-artistici superiori).
    I cubisti, i costruttivisti e tutti gli esponenti della nuova arte cercano di frazionare o al contrario ricostruire il mondo scisso. Il collage è un mezzo assolutamente indispensabile per raggiungere tale scopo. Vi si realizza in parte la passione della totalità, dell’unità e di forme fisse stabili: intercettare le scheggie caotiche della realtà e incollarle “sul luogo adatto”. D’altra parte si vuole costruire il mondo nuovo: “futura umanità”, “è nostro l’avvenir...”, ma prima, come si sa, bisogna infrangere qualcosa. Questo è lo spirito dell’epoca, nella quale il collage è più di una tecnica: è un modo di sentire e pensare il mondo. L’unità di distruzione e di costruzione viene evidenziata nel collage come in nessun’altra tecnica raffigurativa e sembra illustrare perfettamente il Novecento in genere.
    Se quindi vogliamo vedere la mostra nel Museo delle collezioni private cosi’ come indicato sopra, e non come l’ esposizione di una certa tecnica grafica, il collage diventa un fenomeno quasi epico, ma contemporaneamente rimane qualcosa di molto intimo. Il metodo di formazione di un miscuglio di brandelli, certamente, ha sempre una sua profonda logica intrinseca ed è un quadro fatto di pezzi di un mondo individuale. Non è importante se sia stato un mondo di turbamenti e di cataclismi, oppure se un artista ha raccolto frammenti di un mondo felice e compiuto, scegliendoli a sua discrezione. Proprio questi pezzi fanno capire molte cose sull’artista stesso, come molte caratteristiche personali si deducono dai colpi di pennello e dal tipo di linee. Anche se di un collage si fa un uso applicato, come succedeva con gli schizzi scenografici di Juri Annenkov, o con le illustrazioni di Gustav Klutzis o con uno schizzo di un vestito di moda di Aleksandra Ekster, esso rappresenta comunque un insieme di nessi psicologici e di preferenze plastiche. Il collage, quindi, è una tecnica non meno individuale, non meno personale di altri metodi dell’opera artistica.
    Il suo linguaggio anzi “si legge” in modo più netto, dato che è per forza lapidario. E’ colmo di “citazioni”, cliché e prodotti finiti della civiltà, il che lo rende, verso la fine del XX secolo, un’espresione ideale della visione del mondo propria al postmoderno. I collage a più strati di Vera Miturich-Khlebnikova, la carta, fatta a mano, di Valerij Orlov, la carte da gioco usate come biglietti da visita di Vladimir Nemukhin: sono tutti gli oggetti, inseriti solidamente nel tessuto dell’arte d’oggi. La mostra che non pretende di abbracciare tutto e tutti, racchiusa in uno spazio avvedutamente limitato (già questo è un suo indubbio vantaggio), presenta ciononostante uno schizzo leggermente leggibile e assai variopinto della storia del collage in Russia: da Krucenych e Rozanova a Jankilevskij e Nemukhin, da Rodchenko a Kukryniksy, da Sergei Paragianov ai “mit’ki”. Il Museo di belle arti A.S. Puskin e la Galleria Tretiakov hanno fatto insieme un discreto collage espositivo, sia pur frammentario e in parte lacunoso, ma proprio per questo corrispondente al materiale presentato.

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