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Numero 14(78)
Le origini dei paparazzi

    La mostra svoltasi alla Casa della fotografia di Mosca ci fa tornare ai tempi in cui i giovani fotografi di Roma avevano aperto la “caccia alle stelle”, iniziando in questo modo una tradizione che tuttora continua a provocare discussioni.
    Gli avversari di questa tradizione debbno avere davanti agli occhi la storia tragica della principessa Diana, mentre i suoi sostenitori hanno sempre l’argomento, relativo alla libertà d’espressione ed alla democrazia.
    La Roma degli anni 1953-1973 — e proprio di questo periodo parla la mostra — è diventata una città mitica. Il nome “Dolce vita”, grazie alla fortunata iniziativa di Fellini, è rimasto attaccato alla vita pazza, sulla vetta del boom economico e sotto l’ombra della fama di Cinecittà. Quella vita non fu tanto dolce, quanto piuttosto pubblica. Il piccolo mondo cosmopolita, nato in via Veneto, attirava gli sguardi di un vasto pubblico. Le star venivano da tutto il mondo, l’energia dell’istrionismo non si consumava sul set, la recitazione si mescolava con la vita reale, continuava nei bar e ristoranti. Gli scandali diventavano di dominio pubblico, come le vicende della vita privata.
    Un mucchio di fotografi intraprendenti portò la situazione fino all’assurdo o quasi. La tribù dei paparazzi nacque tra lo splendore dei divi cinematografici e una folla di filistei. Le passioni che ribollivano in mezzo alle celebrità venivano ingrandite da questi fotografi fino a diventare un fotogramma, e si presentavano in immagini facilmente memorizzabili. Le stelle diventarono vittime della propria espressività: da allora dovevano rimanere tali per sempre. I giovani fotografi irrompevano nelle situazioni personali, cercavano i momenti di reazioni spontanee, spiavano gli imbarazzi, trasformando tutto questo in uno schiamazzo della stampa, che mai viene meno.
    La mostra alla Casa della fotografia illustra l’approccio dei primi paparazzi al loro lavoro. Per essi era qualcosa di banale fare un semplice ritratto di una star, ed ecco, ad esempio, Brigitte Bardot che sta sulla tazza del water (Marcello Geppetti). E se vedono qualcuno che fa qualcosa di scandaloso, inedito, anche lui (o lei) finisce sulla celluloide, anche se non è famoso. Così, lo stesso Geppetti fotografa le due americane che si bagnavano nella Fontana di Trevi. Il fratello fotografo si procurò dei dispiaceri? Un’inquadratura suggestiva! Ed ecco Elio Sorci riprende Walter Chiari che insegue il fotografo Tazio Secchiaroli. Ma furono le star a buscarle più di tutti gli altri. D’altronde, vi era anche un sapore di gioco, le cui regole furono accettate da entrambe parti. Il soggetto della fotografia può vederlo come un esercizio da attore. Se un evento è ufficiale, bisogna posare e sorridere. Se sei colto in una situazione poco comoda, puoi anche arrabbiarti: anche questa reazione sarà un mattone con cui si costruisce la tua immagine.
    I paparazzi insomma hanno creato un modello di copertura della vita delle stelle, che è stato realizzato al cento per cento da loro stessi. Sembra che essi l’abbiano fatto con maggiore organicità rispetto ai loro seguaci che anche oggi fanno la posta alle star con la macchina fotografica spianata. I paparazzi sono stati figli dei propri tempi. La loro invadenza, il loro atteggiamento cinico nei confronti della pubblica autorità, della morale, dei valori della famiglia e di altri: non è forse un anticipo dei tumulti giovanili degli anni 60? Achille Bonito Oliva, il curatore della mostra, l’ha intitolato in inglese: «A flash of art. Action Photography in Rome 1953-1973». Bonito Oliva definisce “fotografi d’azione” Spinelli, Sorci, Secchiaroli, Geppetti ed altri paparazzi. C’ è del vero: un paparazzo è un cacciatore. A parte che lui stesso è alla ricerca continua di una preda, gli piacciono dei soggetti dimamici. Un gesto fisico o emozionale brusco, meglio di tutto uno scandalo o una rissa, ecco quello che lo attrae. I personaggi però devono essere famosi, e allora un soggetto nullo, un evento come mille altri, acquista una portata epica. I primi paparazzi hanno creato gli stereotipi di condotta dei fotografi mondani. Ma qualcosa col tempo si è perso, forse il profumo della “dolce vita” che penetrava l’aria di Roma degli anni 50-60 del secolo scorso. Oggi ne è rimasto solo un velo mitico, attraverso il quale “i fotografi d’azione” appaiono in una luce romantica, anche se erano come i loro colleghi di oggi: dei reporters indiscreti e sfacciati.

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