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Numero 15(79)
YUKOS e la crisi

    Il caso clamoroso dell’oligarca Mikhail Khodorkovskij, il quale è già stato paragonato da qualcuno ai fatti memorabili degli ultimi anni, come l’esilio di Boris Berezovski e la distruzione della compagnia televisiva NTV nel 2001, si è trasformato a poco a poco in una crisi politica.
    Il 30 ottobre sono state accettate le dimissioni di Aleksandr Voloscin, l’uomo che di fatto è stato, negli ultimi quattro anni, il numero 2 nella gerarchia dei funzionari di Stato dopo il Presidente e il leader del così detto “gruppo della Famiglia” che unisce gli uomini dell’entourage dell’ex Presidente Borsi Eltsin. Molti osservatori si sono affrettati a definire quest’evento “la vittoria netta” del secondo gruppo di amministratori superiori, provenienti dall’ex KGB, i quali vorrebbero operare una ridistribuzione globale della proprietà. Il contrasto fra quelli della “famiglia” e i “siloviki” (questo termine, ormai diventato internazionale, deriva dalla parola russa “sila”, “forza”, e abbraccia di solito gli esponenti altolocati dei dicasteri della difesa, della sicurezza nazionale, degli interni, della Procura e del Ministero per le situazuioni di emergenza - ndr) ha acquisito un’asprezza inedita proprio ora, perché saranno le elezioni imminenti a determinare le caratteristiche della campagna parlamentare e presidenziale degli anni 2007 e 2008, quando si tratterà sul successore di Vladimir Putin. C’è da rilevare che tutte e due le parti usano nella loro lotta la retorica legata al caso Khodorkovskij. I “siloviki” hanno parlato delle ruberie da parte degli oligarchi e della fuga di capitali, troncata da essi, cioè dagli stessi siloviki. In parallelo continuavano la loro offensiva contro i petrolieri su tutti i fronti. Il 1 novembre, il Ministero per le risorse naturali ha comunicato che la licenza provvisoria per l’uso del giacimento Talakanskoe, uno dei più grossi della Siberia, in precedenza rivendicato dalla società di Khodorkovskij, è stata ottenuta dalla “Surgutneftegaz”. Il Ministero per le risorse naturali ha cominciato a svolgere controlli anche presso gli altri impianti della Yukos. Vladimir Putin peraltro, per non spaventare gli investitori, ha dato, durante la sua visita in Italia, una strigliata in pubblico al ministro per le risorse naturali Artiukhov, dichiarando di avere “dei forti dubbi” a proposito dell’opportunità della revoca delle licenze.
    Il 44% delle azioni della Yukos sono stati sottoposti ad arresto, dietro una mozione della Procura generale. La Procura ha anche riferito di essere riuscita a decifrare il server sequestrato al business-centre della Yukos, situato a Zhukovka, nei pressi di Mosca. E il vice Procuratore generale Vladimir Kolesnikov ha fatto alcune dichiarazioni, le quali forse possono essere ritenute una specie di manifesto dei siloviki. Commentando l’arresto di Khodorkovskij, il sig. Kolesnikov ha affermato che il magnate potrebbe rimanere dentro fino a due anni, finché non finisca l’istruttoria. E ha speigato il perché: “Si dice che Khodorkovskij non avrebbe ucciso nessuno. Sì, è vero, non ha ucciso, non si comportava da bandito con una mazza”. Ma come ha ribadito il vice Procratore generale, tale logica non funziona se si vuole valutare sul serio la situazione. “Prendiamo questo miliardo di dollari che gli viene incriminato come una cifra rubata, e lo scomponiamo nei nostri rubli”. In seguito a tale operazione, secondo il sig. Kolesnikov, verrebbe fuori che per colpa di Khodorkovskij più di 18 milioni di russi non sono riusciti ad ottenere completamente gli stipendi e più di 49 milioni di persone, le pensioni. A questo proposito, il vice Procuratore generale ha fatto un’altra ammonizione inequivocabile: “E quelli che non sono ancora dentro, devono pensare bene a ciò che in realtà stanno facendo”. E il giorno dopo, il 13 novembre, Kolesnikov si è scatenato al punto di proporre che la Banca Centrale fosse gestita dal Governo, che la terra fosse resa al popolo e che coloro che trattano materie prime lavorassero senza profitto.
    Se queste proposte fossero accettate, l’economia russa rischierebbe di subire un collasso.
    La stessa Yukos peraltro è riuscita quasi a sfuggire all’attacco, dopo che il 3 novembre lo stesso Khodorkovskij aveva dichiarato di dimettersi da tutti i posti nella società. Da quel momento, il potere nella società è passato a tre manager, cittadini americani. Semion Kukes è stato eletto Presidente del Consiglio direttivo, la gestione degli gli affari finanziari è andata a Bruce Misamore, e la società “YUKOS-Mosca”, a Stefen Teedey.
    A sua volta, il gruppo dei componenti la “famiglia”, insieme ai liberali dell’entourage di Putin, ha rilevato soprattutto che l’arresto del magnate avrebbe comportato o addirittura aveva già comportato il panico sul mercato, provocando un deflusso notevole dei capitali dal mercato. In realtà, il mercato, dopo il panico iniziale, si è messo gradualmente a tornare alla condizione normale. Inoltre, il gruppo cercava di fare effetto sul pubblico, usando le voci sugli imminenti arresti di massa e la ridistribuzione della proprietà.
    Il Presidente Vladimir Putin è comunque riuscito a mantenere l’equilibrio nel suo entourage, nominando al posto di Voloscin il suo vice, Dmitrij Medvedev, che fa parte dei cosiddetti “liberali di Pietroburgo”. Gli esponenti della stessa fazione, Dmitrij Kozak, Igor Sciuvalov, sono stati designati rispettivamente primo vice e il vice “semplice” del capo dell’Amministrazione presidenziale, togliendo una parte di poteri a Viktor Ivanov che rappresenta il gruppo dei siloviki. Dimostrando che il Presidente non ha intenzione di schierarsi completamente con i siloviki, Medvedev, praticamente subito dopo essersi insediato, ha annunciato che l’aspetto giuridico del caso, relativo all’arresto delle azioni appartenenti alla Yukos, non era chiaro, e ha rilevato il pericolo della “frenesia amministrativa” da parte dei dicasteri “della forza”. Anche il premier Mikhail Kassianov si è espresso all’unisono con lui, avendo rilevato, il 31 ottobre, la sua profonda precoccupazione per l’arresto delle azioni. Secondo alcuni esperti, del resto, queste dichiarazioni farebbero parte della preparazione di Kassianov all’attività politica pubblica dopo il suo presunto siluramento imminente.
    Oltre Mikhail Kassianov, anche Gherman Gref, il ministro per lo sviluppo economico, ha manifestato i suoi dubbi, sostenendo alla conferenza stampa tenuta insieme al Donald Evans, il ministro del commercio statunitense, che le vicende del gruppo petroliero avrebbero avuto un effetto negativo sull’economia della Russia.
    Le rassicurazioni agli imprenditori sono continuate. Vladimir Putin, nel suo intervento al congresso dell’Associazione russa degli imprenditori ed industriali, ha assicurato che la riforma amministrativa sarebbe stata portata a termine. Rispondendo invece all’esortazione di Arkadij Volskij, il presidente dell’Associazione, di rinunciare all’uso di misure coercitive nel conseguimento di obiettivi economici, Putin si è limitato a dire che “non ci sarà una svolta all’indietro”. Nel contempo, il Presidente ha aggiunto che è necessario abituarsi alla cultura giudiziale e che fosse ora di “cessare le accuse infondate nei confronti del potere e delle azioni degli organi tutori della legge”, troncando eventuali discussioni in merito alla Yukos. Ha anche invitato gli imprenditori a partecipare al conseguimento dei grossi obiettivi nazionali, affrontati dalla Russia, nonché alla formazione della politica previdenziale. L’ultima proposta significa, tradotta in una lingua normale, l’ordine di dare allo Stato una parte di soldi che si hanno. L’odore dei tempi sovietici si è fatto sentire soprattutto dopo la proposta di Putin di “non mettersi in ginocchio davanti all’Occidente”. Peraltro, un balsamo per i sostenitori della concorrenza onesta doveva essere l’affermazione di Putin secondo la quale le competenze del potere non potevano essere applicate nella lotta concorrenziale.
    Putin ha cercato di trarre il massimo vantaggio dal “caso Khodorkovskij”. Quasi ogni giorno Putin e i politici a lui leali ripetevano che l’arresto di Khodorkovskij e’ solo una parte di quella battaglia importante contro i bustarellari, i grandi evasori fiscali e i baroni rapinatori, che è condotta dagli organi tutori della legge. Putin ha anche confrontato il caso della Yukos con il caso della Enron, senza perdere l’occasione di dimostrare “l’umanismo e la morbidezza” delle autorità russe: negli Usa sono state arrestate 20 persone e da noi, solo due. Al Paese e al mondo è stata presentata la nuova strategia del leader russo: la lotta totale alla corruzione. Probabilmente, Putin spera di diluire nel flusso di informazioni relative agli arresti dei concussionari, lo stesso processo a carico dell’ex presidente della Yukos, se certamente tale processo avrà luogo. A volte, peraltro, Vladimir Putin si lascia scappare qualche parola sui motivi veri dell’arresto di Khodorkovskij. Così, durante la visita a Mosca del primo ministro d’Israele Ariel Sharon, Vladimir Putin ha comunicato ai membri della delegazione israeliana che l’arresto di Khodorkovskij e’ stato dovuto alla sua partecipazione smisurata alla vita politica della Russia. Il Presidente ha anche arricchito il gergo politico con una nuova frase, osservando nell’intervista rilasciata ai giornalisti italiani, che “la legge dev’essere rispettata sempre, e non soltanto nei casi in cui si è preso per una certa parte del corpo”. E la menzione al fatto che il potere sa bene per quali politici ed avvocati la Yukos “ha speso miliardi” potrebbe indurre questi politici ed avvocati ad un triste presentimento, quello di trovarsi presto nei panni degli accusati. Per ora, del resto, non appare probabile una deprivatizzazione di massa. Rispondendo poi alla domanda sul ritiro di Voloscin, Putin in pubblico se ne rincresce, ma aggiunge che a livello di principio le sue dimissioni erano state predeterminate già nel 2000, e il capo dell’amministrazione uscente si stava solo preparando un successore.
    “Il caso Khodorkovskij” è stato subito adoperato anche nella politica estera. E’ stato utile soprattutto per gli Usa che si fanno in quattro per far partecipare la Russia ai propri progetti in Iraq, ecc. Inizialmente Richard Bowcher, il portavoce del Dipartimento di Stato, ha detto che gli USA erano “preoccupati per il rispetto delle libertà fondamentali dei russi e per l’onestà fondamentale del sistema giudiziario russo”. Più serio è stato un appello di John McCain, un senatore repubblicano, ritenuto da alcuni politologi russi il candidato a Presidente americano più conveniente per la Russia. Il senatore si è rivolto al Presidente statunitense George Bush, esprimendo la sua “preoccupazione crescente del fatto che nell’animo del signor Putin siano concentrati tutti i 400 anni dell’oppressione russa”. Il sig. McCain suggerisce alla Casa Bianca di bloccare per la Russia l’accesso agli istituti euroatlantici, di non ammetterla al vertice del G-8, che deve svolgersi negli USA a giugno del 2004, di non abolire l’emendamento Jackson-Vanick. E agli imprenditori americani, il senatore consiglia di non investire in Russia.
    Jurij Ushakov, l’Ambasciatore della Russia negli USA, ha immediatamente definito quest’attacco “una manifestazione scandalosa delle sopravvivenze della “guerra fredda” e della russofobia, una carica di menzogna e di odio”. E il ministro degli esteri della Federazione Russa Igor Ivanov ha ribadito in modo speciale che non ci sarebbero stati colloqui di alcun genere con gli USA a proposito della Yukos, e che nessuno avesse diritto di ingerirsi negli affari degli organi tutori della legge. Ha anche definito Bowcher e McCain “un retaggio della guerra fredda”, senza chiamarli, del resto, per nome. La dichiarazione del Ministero degli esteri della Russia poi emesso a questo proposito è stata intitolata “In riferimento alle affermazioni ostili relative ai rapporti russo-americani, da parte di alcuni circoli politici degli USA” e ci faceva tornare appunto ai tempi della guerra fredda. I contenuti non erano poi molto diversi dal titolo.
    Mikhail Khodorkovskij, di propria volontà o contrariamente, si è trovato sulla punta di questa lotta. Da una parte ciò riduce le sue chances di cavarsela bene in questa faccenda, o almeno di uscire dalla prigione prima del processo. D’altra parte, grazie ad una forte linea di difesa costruita anticipatamente, la stessa Yukos è invulnerabile dal punto di vista giuridico, e quindi non può interessare i siloviki, mentre l’interesse del potere nei confronti di Khodorkovskij dovrebbe venire meno subito dopo le elezioni del Presidente. Inoltre, dopo la dichiarazione sulle dimissioni, l’immagine di Khodorkovskij sta cambiando rapidamente. Ora non è più recluso un imprenditore, ma un mecenate importante e il promotore di idee liberali nella società russa. E si capisce che ora la società gli cancellerà qualsiasi colpa. E poi, ciò gli permette di dedicarsi all’attività politica. Ma è difficile che l’élite di oggi ammetta Khodorkovskij al potere. Avrà troppa paura di una vendetta da parte sua, cosicchè qualsiasi tentativo del magnate di accedere di nuovo al seggio di Presidente sarà troncato spietatamente.

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