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Numero 4(84)
Lotta al terrore: notizie dai fronti

   
Israele: la fine dell’inventore dei kamikaze islamici
    L’evento centrale della lotta internazionale al terrore, alla seconda metà di marzo, è stata l’eliminazione, operata dagli israeliani, dello sceicco Akmed Yassin, leader spirituale e fondatore del movimento “HAMAS”, che è stato il primo, nel mondo islamico, a mettere in pratica l’uso delle “bombe vive”. Lunedì, 22 marzo, all’alba, mentre stava tornando dalla moschea insieme ai familiari e alle guardie di corpo, Yassin è stato colpito dai missili, lanciati da elicotteri israeliani. Lo sceicco è il leader palestinese più autorevole, eliminato dall’esercito israeliano dall’inizio dell’ultima intifada, mentre l’operazione, relativa al suo annientamento, potrebbe aprire una nuova pagina nella storia del conflitto medioorientale.
    L’andamento dell’operazione è stata controllato da Ariel Sharon in persona. Anche l’ordine di eliminare Yassin è stato dato dal premier israeliano. I commenti di esperti e politici a proposito di quest’evento sono stati radicalmente contrari. Si capisce che la reazione dei dirigenti dei Paesi musulmani è stata nettamente negativa: altrimenti, infatti, non sarebbero stati dalle “piazze” e dai sacerdoti autorevoli. Ma anche il segretario generale dell’ONU Cofy Annan ha disapprovato l’operazione speciale degli israeliani: forse, in questo modo cerca il supporto dei Paesi arabi alle prossime elezioni del Segretario generale dell’ONU. L’eliminazione di Yassin, poi, ha provocato una specie di crisi isterica nei territori palestinesi tra i rappresentanti di tutti gli strati dela popolazione, dai semplici sostenitori della HAMAS a Yassir Arafat, il leader formale della Palestina autonoma, il quale ha paura di diventare il prossimo bersaglio degli israeliani. Quanto agli Usa, essi hanno preferito chiuderso nel mutismo, ma il loro ambasciatore ha posto il veto sulla risoluzione, preparata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, che condannava le azioni dell’Israele. Inoltre, quranta membri del Senato statunitense si sono pronunciati espressamenet a favore dell’eleiminazione dello sceicco Yassin da partev dell’Israele.
    Molti sostengono che l’omicidio dello sceicco non farà che provocare l’intensificazione dell’attività dei terroristi. Ma anche se Yassin fosse stato vivo, ciò difficilmente avrebbe sfociato nell’arresto della macchina della morte, da lui gestita. Pare peraltro che i dirigenti della HAMAS comincino a litigare, perché subito sono comparsi alcuni uomini che vorrebero essere alla guida di tutta l’organizzazione. In questo caso, le forze principali degli estermisti saranno dirette alla resa dei conti reciproca, e l’intensità degli attentati terroristici si ridurrà almeno un po’. Inoltre, la morte dello sceicco ha mostrato ai dirigenti dei terroristi che gli israeliani non faranno complimenti con loro. E visto che a questi uomini è molto cara la loro vita, dicano qual che dicono sulla disponibilità di morire nel corso dello jihad, si muoveranno d’ora in poi, con maggiore cautela.

Iraq: Vietnam-2
    Anche la situazione al’Iraq rimane instabile. Gli ottimisti, secondo i quali la situazione irachena dovesse tornare alla normalità subito dopo la cattura di Saddam Hussein, ora sembrano essere costretti a rivedere la loro posizione. Saddam è dentro già da alcuni mesi e rifiuta di collaborare con l’istruttoria, mentre il numero di fatti violenti nei confronti delle forze americane d’occupazione e degli iracheni che collaborare con essi, non viene meno. L’ultimo di tali fatti, che ha scioccato l’opinione pubblica statunitense, è stato il massacro di quattro esperti civili americani, avvenuto nella città di Fallugia. I corpi di queste persone sono stati trascinati da iracheni trionfanti per la città e dopo, sono stati impiccati sul ponte attraverso l’Eufrate. Il Paese ora è pieno di organizzazioni islamiche terroristiche. Gli americani non riescono neanche di garantire la sicurezza del proprio quartier generale che è stato recentemente bombardato con i missili.
    Sembra, poi, che “la campagna irachena” possa sopprimere ogni speranza di George Bush di essere rieletto Presidente degli USA. Una quindicina di giorni fa negli USA è uscito un libro “Contro tutti i nemici: la guerra dell’America contro il terrore”, scritto da Richard Clarke, l’ex consigliere della Casa Bianca per la lotta al terrorismo. Il libro contiene informazioni sensazionali, secondo le quali l’amministrazione di Bush avrebbe drasticamente sottovalutato i terroristi, facendosi contemporaneamente in quattro per organizzare “una campagna contra Saddam”. A detta di Clarke, Condolizza Rice, il consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente statunitense, a gennaio 2001, non avesse saputo affatto cosa fosse l’“Al-Queda”. Prima di settembre 2001, la Casa Bianca non aveva svolto nessuna riunione, dedicata alla lotta alterrore. Clarke sottolinea che con l’arrivo della Rice alla Casa Bianca, gli accenti della sicurezza nazionale si erano spostati verso la creazione della difesa antiaerea e la presunta minaccia da parte della Russia e della Cina. Secondo Clarke, questo sarebbe stato dovuto al fatto che Condolizza Rice era stata esperta della Russia e quindi per lei sarebbe stato più semplice impegnarsi in tali tematiche. Fra qualche mese uscirà il libro dell’ex diplomatico Josef Wilson “Politica della verità” che parla della preparazione della guerra contro l’Iraq. In estate dell’anno scorso, J. Wilson aveva accusato la casa Bianca di deformare le informazioni per gonfiare la minaccia che sarebbe venuta dall’Iraq. Questo libro sarà ancora scomodo per Bush e la sua équipe.
    Nella stampa si sono pure infiltrate delle informazioni, secondo le quali l’11 settembre 2001, cioè nel giorno in cui erano stati i famigerati attentati terroristici, Condolizza Rice avrebbe programmato di parlare in pubblico “delle minacce e dei problemi di oggi e di domani”. In quel discorso non sarebbe stata prevista una sola riga, dedicata al terrorismo islamico, mentre si sarebbe puntato soprattutto sulla presunta minaccia missilistica proveniente dagli “Stati dall’atteggiamento ostile”, il primo tra i quali sarebbe stato l’Iraq. Ora la sig-ra Rice, noché George Bush e il vice presidente Dick Chainy devono deporre a questo proposito davanti alla Commissione indipendente per l’investigazione degli attentati terroristici del 2001. Le conclusioni preliminarie della commisione sono estremamente sfavorevoli per l’amministrazione di Bush: il suo esecutivo avrebbe lasciato il Paese senza qualsiasi difesa dai terroristi islamici. E il fatto che gli americani non sono riusciti a trovare le benedette armi chimiche e biologiche, sulla necessità di contrastare le quali era stata imperniata tutta la campagna propagandistica alla vigilia dell’invasione dell’Iraq, è stato riconosciuto anche da uno dei principali ideologi dell’operazione Donald Rumsfeld, il ministro della difesa degli USA.
    Di conseguenza, l’ultimo sondaggio, svolto dalla Rasmussen, ha dimostrato che Bush stava perdendo punti in tutti i settori. Nel complesso, è sotto del 3% a John Carry, il suo rivale più probabile alle prossime elezioni presidenziali: ha il 44% contro il 47% del senatore di Massachusets. E solo una settimana prima, il Presidente attuale era stato il primo nella corsa elettorale, con il distacco del 4%...
    Le notizie, relative agli arresti degli islamisti vengono anche da diversi angoli dell’Europa. Il servizio segreto britannico Mi-5 e il reparto antiterroristico della Scotland Yard hanno svolto arresti contemporanei dei terroristi islamici in sei città britanniche. In tutto, sono state fermate 8 persone, e confiscati più di 500 chili di esplosivi. In Marocco e in Spagno sono arrestate alcune persone che avrebbero realizzato e organizzato la terribile strage di Madrid. Gli arresti di masa degli islamisti hanno avuto luogo anche in Italia.
    Gli stessi islamisti di solito organizzano anche quell’ondata di antisemitismo, che, se voggliamo dar retta al rapporto del Centro di monitoraggio dell’UE per razzismo e senofobia, avrebbe invaso la Francia, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi e la Germania. Intanto, Romano Prodi, il capo della Commissione Europea, sperando di poter ripetere il recente successo dei socialisti in Spagna, ha già scitto una lettera aperta, pubblicata dal Corriere della Sera, in cui sostiene che il popolo italiano è contrario alla guerra in Iraq ed assicura che il suo “Ulivo”, qualora torni al potere, provvederà subito a ritirare le truppe italiane dall’Iraq. Resta poco chiaro, comunque, se per ottenere tale successo al signor Prodi servirà l’assistenza dei terroristi dell’Al-Queda...
    Pare che ora comincino a realizzarsi le previsioni di alcuni analisti, secondo i quali gli USA, rimuovendo Saddam Hussein, avessero spianato la strada verso il potere ai fondamentalisti islamici, perseguitati impietosamente dall’ex dittatore.
    Il 4 aprile, in Iraq è cominciata l’insurrezione degli sciiti. Per ora si tratta dei sostenitori di Muktada as-Sadr, uno dei leader sciiti, scontento del fatto che i americani non avessero considerato le sue amibizioni politiche. I combattimenti si svogono a Baghdad, a Bassora, a Falluja, a Najaf. I quartieri residenziali delle città irachene sono di nuovo bombardate. Ma ciò on salva la situazione. In seguito all’insurrezione, le perdite degli americani hanno raggiunto una cifra mai vista fin dall’inizio dell’invasione in Iraq: sono morti circa 50 americani, più 20 soldati di altri Paesi. Vi si aggiungono le azioni dei guerriglieri nel così detto triangolo sunnita. I loro attacchi diventano, poi, sempre più abili e coordinate. Di conseguenza, alcuni Stati hanno già dichiarato la decisione di ritirare i loro contingenti, mentre il Governo giapponese ha ordinato al suo contingente di non lasciare il loro campo militare.
    Negli stessi Stati Uniti, il senatore Edward Kennedy ha già detto le parole che probabilmente sono destinate a diventare uno slogan di John Carry, il candidato democratico a Presidente: “L’Iraq è il Vietnam di George Bush”. John Carry ha sostenuto che gli States agiscano in Iraq “in modo insensato”. Ha anche invitato il Presidente degli USA a riconoscere che l’amministrazione americana, svolgendo la sua politica in Iraq, ha dovuto affrontare certe difficoltà. Considerato che il supporto generale di Bush si era ridotto fino al 43% già in precedenza all’arrivo delle prime notizie, relative alla ribellione, è possibile prevedere un calo drammatico del suo rating: in proporzione al numero di bare pervenute dall’Iraq.

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