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Numero 5(85)
YUKOS: lo scenario diventa più chiaro

    Per molto tempo la situazione della Yukos poteva essere definita con una sola parola: “incomprensibile”. La società di fatto si trova ormai da quasi un anno “al largo”, cioè veniva amministrata senza la partecipazione e in assenza dell’azionista di maggioranza e fondatore al tempo stesso. Si tratta di una vicenda senza precedenti nella storia russa.
    Questa situazione aveva un’altra caratteristica: una notevole incertezza. Gli scenari degli esperti che commentano il caso della Yukos variano dalla bancarotta ufficiale e nazionalizzazione al mantenimento e alla vendita dell’azienda agli stranieri.
    La nomina di Viktor Gherascenko e le ultime notizie che giungono dalla Yukos e dalle banche del gruppo Menatep (Trust e Menatep San Pietroburgo) consentono di delineare un nuovo scenario, di cui per ora non se ne parla più di tanto. Questo scenario prevede l’uscita degli assets. Va ricordato che quest’opzione di solito viene usata nella situazione in cui una società è in pericolo di bancarotta, sia per opera di strutture nemiche, com’era stato alla metà degli anni 90, all’epoca di fusioni e inglobamenti nell’industria petrolifera, sia per opera di creditori esteri, com’era stato nel 1998. E’ ovvio che le recenti dichiarazioni del consorzio delle banche estere relative all’eventuale rifiuto della Yukos di pagare per il credito sindacato (syndicated loan) sta a significare che i creditori sono seriamente preoccupati che tale scenario possa avverarsi. Perché questo scenario si è rivelato così distintamente proprio adesso? Perché il caso della Yukos è evidentemente finito su un binario morto. La società “di nessuno” è ancora capace di mantenere la sua capitalizzazione di mercato, grazie agli incontri frequenti con gli esponenti del business d’investimenti, ma a livello di produzione, i managers difficilmente possono assicurare in modo adeguato l’efficienza del processo petrolifero. E’ ovvio che altri sei mesi o un anno di tale permanenza in sospeso possono ridurre notevolmente il valore della compagnia. Un’altra motivazione è legata al fatto che esiste un unico metodo in cui possa essere ridotta l’entità di azioni legali da parte degli organi fiscali: diminuire il valore della società. Gli azionisti pertanto, i quali ora praticamente non hanno la possibilità di discutere le richieste fiscali per timore di danneggiare Khodorkovski, sono interessati a far uscire gli assets.
    E’ possibile vedere la situazione anche dal punto di vista del secondo partecipante alla vicenda, cioè dello Stato. E’ ovvio che a parte il palese interesse fiscale (ottenere dalla Yukos i famigerati 5 miliardi di dollari) lo Stato potrebbe sviluppare uno scenario in cui l’azienda sarebbe consegnata ai nuovi padroni. Secondo voci ricorrenti, potrebbe essere l’azienda pubblica Rosneft, oppure la Surgutneftegaz, ma quale sarà, non è poi così importante. L’essenziale è che la nazionalizzazione della Yukos, al valore attuale della Yukos, non permetterà di ottenere un pacchetto notevole della compagnia. Inoltre se partiamo dall’ipotesi che la Yukos vuole essere acquisita da certi oligarchi della nuova schiera, loro sarebbero molto più soddisfatti a poter controllare gli attivi piu’ che l’azienda stessa. In tal modo, far uscire gli assets, per quanto paradossale ciò possa sembrare, potrebbe essere una mossa vantaggiosa per i nuovi padroni della Yukos.
    Per quanto riguarda la nomina di Gerascenko, diventato il capo del consiglio d’amministrazione della Yukos, è possibile proporre due ipotesi relative ai motivi di questa designazione, al primo sguardo poco comprensibile. La prima ipotesi attribuisce il suo invito nel gruppo al tentativo disperato degli azionisti di assicurarsi il supporto di una persona con una certa reputazione politica e certi contatti politici. Va ricordato che mentre era capo della Banca Centrale, Gherascenko aveva un attteggiamento assai autonomo nei confronti dei problemi economici, e avrebbe avuto un’autorità notevole nella Duma. Ma è possibile obiettare su questo punto che Gherascenko non ha mai avuto una posizione politica autonoma e che egli è considerato un uomo assai cauto. Si sa poi che ha discusso la sua nomina alla Yukos con Putin, cosicché la supposizione che lui potesse essere delegato alla Yukos dal vertice viene a galla da sé.
    Il secondo aspetto di questa nomina, che peraltro non contraddice le considerazioni precedenti, concerne gli obiettivi di Gherascenko al posto del capo del consiglio d’amministrazione della Yukos. E’ evidente che chi fa uscire gli attivi non aggiunge caratteristiche positive alla propria reputazione, e se bisogna cavare le castagne dal fuoco con lo zampino del gatto vi dev’essere un certo senso. Forse la spiegazione si nasconde nei contatti e nelle antipatie personali dell’ex direttore della Banca Centrale. E’ ovvio che la nomina di Ignatiev al posto di capo della Banca Centrale è stata per Gherascenko una brutta sorpresa, ma non si sa se può essere un motivo sufficiente per schierarsi con la Yukos. D’altra parte il rapporto di Gherascenko con l’équipe della Yukos non è mai stato affettuoso, cosicché non è da escludere uno scenario in cui Gherascenko può essere usato come una specie di cavallo di Troia, nell’interesse di chi vorrebbe appropriarsi della Yukos.
    Quindi, l’unica domanda che per ora non ha risposte è questa: nell’interesse di chi opererà l’ex capo della Banca Centrale. Ma se si tratta veramente di far uscire gli assets, allora ciò non sarà troppo importante per i mercati finanziari e per tutti gli operatori esteri: l’importante è che in Russia le azioni in qualsiasi momento possono diventare pezzi di carta non coperti da niente.

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