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Numero 5(85)
La lettera di Berezovskij –
lo zar buono e quello cattivo


    Le polemiche sulla stampa suscitate dalla lettera di Khodorkovskij non sono ancora finite. Degli echi più considerevoli verificatisi in aprile vanno notati soprattutto le risposte di Egor Gajdar e di Boris Berezovskij.
    Ciascuna di queste due reazioni all’articolo di Khodorkovskij è interessante a modo suo. Il materiale di Egor Gajdar fa notare nettamente una confusione di tempi, ammesso nella lettera di Khodorkovskij: la polemica sulla responsabilità sociale del business, nata in realtà solo dal 2000, viene spostata dal capo della Yukos all’inizio delle riforme in Russia. Ma, come ricorda Gajdar, nei primi anni 90 nessuno avrebbe osato dare una risposta chiara non solo alla domanda sulla responsabilità sociale, ma anche alla stessa esistenza del business. Nessuno è stato sicuro allora che in seguito alle riforme di mercato potesse comparire un’economia di nuovo tipo, che le aziende pubbliche dalle risorse esaurite sarebbero passate ai proprietari privati che avrebbero voluto assumersi il rischio di mantenere i posti di lavoro e avrebbero riavviato unità produttive, invece di portarle allo sfacelo. Il rammarico espresso da Khodorkovskij a proposito del fatto che l’impresa di allora non aveva considerato la questione degli aspetti sociali delle riforme economiche può far piacere a coloro che continuano a ritenersi “fregati”, ma questo rammarico è assolutamente insensato, visto che nei primi anni novanta a nessuno poteva venire in mente di pensare di tale problema. Non a caso nell’articolo di Berezovskij la posizione di Gajdar che riflette la situazione di quei tempi è definita in questo modo: “La Polonia ha superato gli sconvolgimenti sociali, li supereremo anche noi”. Nei primi anni 90 il problema della pauperizzazione della popolazione pareva a livello politico poco importante rispetto al rischio della scissione non solo dell’URSS, ma anche della Russia. Il leitmotiv dell’articolo di Gajdar pertanto è il ricordo di quei mutamenti colossali che il Paese ha superato negli ultimi 14 anni, e il fatto che essi potrebbero anche non avverarsi, come, del resto, le discussioni relative alla responsabilità sociale.
    Gajdar, poi, come persona meno impegnata politicamente e più libera nell’espressione del proprio punto di vista, alla fine del suo materiale scrive ciò che molti dicono, ma pochi osano mettere per iscritto. Qualsiasi ridistrbuzione della proprietà avviene nell’interesse dei gruppi che raramente perseguono l’interesse dello Stato, ma molto spesso il proprio. Il caso della Yukos pertanto fa paura non perché alcune persone perderanno il controllo della compagnia, ma perché lo Stato può usare il suo potere per cambiare gli oligarchi caduti in disgrazia con personaggi più comodi. Terminando il suo articolo in questo modo, Gajdar praticamente sostiene che il potere d’oggi non è per niente diverso dal regime di Eltsin: il primo Presidente della Russia era stato ostaggio del suo basso rating politico ed era stato costretto a cercare supporto, distribuendo la proprietà, mentre il secondo Presidente sarà costretto anche lui a creare una cerchia di coloro che pensano come lui, assecondando il loro interesse. Si andrà avanti così fino a che non sarà creato un diritto legislativo che funzioni in modo normale. Fino a questo momento il Presidente rimarrà un personaggio chiave che prende le decisioni, ma non potrà essere indipendente dagli interessi di vari gruppi, ai quali in un modo o nell’ altro sarà costretto ad appoggiarsi.
    La stessa costanza del potere politico attuale rispetto a quello del primo Presidente della Russia, descrive in sostanza nel suo articolo anche Boris Berezovskij. Dopo aver letto il suo materiale, la Russia sia di ieri che di oggi appare una specie di monarchia un po’ speciale. Quest’impressione diventa particolarmente netta quando Berezovskij dice che “Eltsin ha scambiato le riforme politiche con la sua incolumità personale e con l’incolumità della sua famiglia”.
    La conclusione da trarre da questi due articoli, apparentemente molto diversi, può essere una sola e non troppo consolatrice. L’esperienza dimostra che per quanto ben pensate e riuscite non siano le riforme economiche, il loro risultato economico può essere facilmente ridotto a zero o rivelarsi poco significante per il sottosviluppo di un sistema politico autonomo. Il potere che si basa sulla volontà di una persona, com’era ai tempi di Eltsin, torna sempre ad essere un ostaggio di qualche gruppo d’ interessi personalmente legati al presidente, o diventa ad un certo punto una carta di scambio per ottenere garanzie personali. Perché il sistema giuridico e legislativo non ha i suoi interessi personali, le sue paure e i suoi programmi, mentre qualsiasi persona, per quanto sia altolocata, ne ha sempre a sazietà.

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