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Numero 11(91)
YUKOS: asta il 19 dicembre

    Stretta finale: in lizza Gasprom ma anche compagnie straniere. Indagati, manager e dirigenti della società scappano all’estero. E ora il business russo trema: la lunga mano del fisco minaccia seriamente anche altre “grandi” dell’economia russa. Il conflitto tra le autorità centrali e la compagnia YUKOS che dura già da un anno e mezzo sembra avvicinarsi ad una soluzione. Il Fondo Russo delle Proprietà Federali ha annunciato il 19 novembre che il 19 dicembre 2004 verranno messe all’asta tre quarti delle azioni del principale attivo della YUKOS – la società di estrazione petrolio “Yuganskneftegas”.
    La base di partenza fissata è di 8,6 miliardi di dollari. Certo, la somma è più consistente di quella in un primo tempo annunciata dai funzionari statali (4-5 miliardi), ma inferiore a quella stimata dagli auditor occidentali. In aggiunta, l’annuncio riguardante l’apertura dell’asta è stato pubblicato 29 giorni prima della stessa, e non 30, come prescritto dalla legge. Questa fretta si deve, probabilmente, al fatto che per il 20 dicembre è fissata la riunione del consiglio dei direttori della YUKOS, in sede alla quale si sarebbe potuto optare per il fallimento della società.
    Tra i possibili partecipanti all’asta sono state segnalate quasi tutte le grandi società nazionali petrolifere. Ma gli esperti hanno dato per certa sopratutto la presenza della “Gasprom”, monopolio del gas controllato dallo Stato, a cui è stata recentemente accorpata la società statale “Rosneft”. Sembra che la “Gasprom” abbia già preso accordi con un consorzio di banche occidentali per un credito di 10 milliardi di Euro. Tra i partecipanti all’asta probabilmente figureranno anche compagnie straniere – la ENI italiana, la EON tedesca ed altre. Il fisco continua nel frattempo le perquisizioni negli uffici dei dipartimenti della YUKOS e accusa la compagnia di sempre nuove infrazioni. La sola “Yuganskneftegas” ha da pagare sanzioni per 3,4 milliardi di dollari.
    Mentre la società principale ha ne ha già ricevute, dopo la verifica della sua contabilità degli anni 2000-2003, (sia confermate che non confermate dai tribunali) per quasi 25 milliardi.
    Tutto ciò ha comportato il crollo delle azioni della YUKOS e al momento attuale il suo valore non rappresenta che il 10% dei 30 milliardi di dollari per i quali era stata valutata nella primavera del 2003. Si nota come la caduta della YUKOS abbia trascinato dietro se tutto il mercato. Vista la situazione, la “Gasprom” probabilmente non avrà molte difficoltà ad acquistare le 43 azioni delle “Yuganskneftegas” messe all’asta.
    Naturalmente, la società cerca di resistere come può. Mikhail Khodorkovski quasi immediatamente dopo la dichiarazione del Fondo delle Propietà Federali ha dichiarato che le autorità “arrecano danno non solo alla compagnia, ma anche allo stato, agli azionisti minoritari ed alla società in generale”. Il presidente del consiglio di amministrazione della YUKOS Steeven Teedey ha chiamato la vendita del “Yuganskneftegas” -principale impresa di estrazione della più grande società petrolifera russa- “furto organizzato dal governo allo scopo di regolare dei conti politici” e ha indicato il giorno dell’asta (19 dicembre 2004) come “triste data” nella storia della Russia.
    L’azionista maggioritario ed il creditore principale della YUKOS, la “MENATEP Group” ha persino dichiarato di volere procedere legalmente contro il governo della Federazione Russa ed i partecipanti all’asta. Una tale dichiarazione poteva impaurire le società occidentali, ma non la “Gasprom”, o, piuttosto, la sua “primogenita”, la “Gaspromneft”, che è considerata essere la principale concorrente all’asta e la quasi sicura vincitrice. Per conservare una parvenza di legalità, la “Gasprom” stessa si è premurata di rendere nota l’influenza che nella sua decisione all’acquisto della YUKOS avrebbe avuto l’opinione di alcuni’ consulenti della “Deutschebank”. È poi saltato fuori il cognome di uno di questi consulenti. È risultato essere il fratello di Boris Jordan, uomo d’affari, “famoso” per la sua partecipazione alla cessione gestionale del canale televisivo NTV alla “Gasprom”, inizialmente di Vladimir Gussinskij.
    Per paralizzare la difesa della società, la procura ha ufficialmente dichiarato aperte le ricerche di Dmitri Gololobov, principale avvocato della YUKOS, incolpato di essersi appropriato di azioni della “Compagnia petrolifera orientale” facendo parte della YUKOS. L’avvocato, che al momento dell’ingiunzione si trovava in Gran Bretagna, ha preferito non fare ritorno in Russia.
    Gololobov non è stato il solo ad essere accusato. Ad esempio, il 18 novembre, sospettato del furto di 22 millioni di rubli appartenenti alla società “YUKOS-Moskva”, è stato arrestato l’amministratore della società “YUKOS-Moskva” Alexej Kurzin. E l’8 dicembre, dopo un interrogatorio alla Procura generale è stata arrestata anche la vice-capo della direzione legale della “NK YUKOS” Svetlana Bakhmina. Gli organi di tutela dell’ordine pubblico hanno effettuato una serie di perquisizioni negli appartamenti del personale della YUKOS, da quelli dei semplici dipendenti a quelli dei top-manager.
    Pare che, in conseguenza di ciò, i top-manager della YUKOS siano stati letteralmente costretti a fuggire dalla Russia. Adesso la compagnia verrà “tele-guidata” da Londra. Il direttore finanziario della “NK YUKOS” Bruce Misamor ha dichiarato al riguardo che i capi della società avrebbero lasciato il paese temendo –a seguito di informazioni ricevute in merito- per la propria libertà e incolumità. “Non ho intenzione di sacrificare la mia vita per motivi politici (russi)”, ha sottolineato Misamor. Ha anche dichiarato che i capi della società torneranno in Russia “qualora ivi non sussista ulteriormente il pericolo di essere arrestati” Il mondo del business, che prima aveva cercato di proteggere il caduto in disgrazia Mikhail Khodorkovski e la sua società, ha preferito “squagliarsela” definitivamente. Per le autorità la soluzione ormai prossima dell’affare YUKOS è una buona occasione per dare l’avvio a una nuova politica di regolamentazione dei rapporti tra lo Stato e il business. E questo avvio l’ha dato Vladimir Putin in persona, durante la sua visita al congresso dell’Unione degli industriali ed imprenditori russi. Putin ha proclamato l’inizio di una nuova partnership tra il privato e lo Stato. Al business sono state promesse garanzie statali per gli investimenti fatti nei settori di rischio e l’abolizione delle revisioni dei risultati della privatizzazione compiuta. In cambio il presidente ha richiesto ai presenti maggiori “investimenti in progetti sociali, nella scienza, nell’educazione” e per l’ennesima volta li ha esortati ad essere socialmente responsabili. Con questi presupposti, le medie e grandi aziende russe vengono a trovarsi nella condizioni di dovere “volontariamente” assolvere a tutta una serie di obblighi sociali. Tra i progetti concreti sono stati citati gli investimenti nella zona economicamente depressa del Distretto federale del Sud; qui, tramite iniezioni di milliardi, si preparerebbe il terreno per la lotta all’estremismo. La collaborazione “volontaria-forzata” dovrebbe trovare espressione anche nell’aiuto allo sviluppo della rete della formazione professionale.
    Per tranquilizzare gli uomini d’affari, Vladimir Putin ha sottolineato che “lo Stato ha e avrà sempre l’obbligo di salvaguardare gli interessi del business onesto; le indagini governative (comprese quelle fiscali, aventi per oggetto il grande business e l’imprenditoria) non devono e non dovranno venire interpretate da parte del business come la ricerca in qualsiasi nuova impresa di una minaccia agli interessi dello Stato”. Ma con la frase seguente, che esortava le aziende a “prendere l’abitudine di rispettare la legge, di pagare le tasse e di non cercare modi di evaderle”, il presidente praticamente ha accreditato le accuse dei rappresentanti delle forze dell’ordine rivolte a quegli uomini d’affari che hanno approfittato di sgravi e agevolazioni fiscali normalmente autorizzati dalla legge.
    Le “infauste profezie” di molti businessman sembrano trovare conferma. Il Ministero delle Imposte ha già avanzato significative pretese fiscali alla società petrolifera “Sibneft” ed alla società di tele-comunicazione “Vympelkom” (marchio commerciale “Bee Line”). Alla luce di nuove informazioni ottenute su altre società petrolifere, il Ministero delle Imposte avrebbe preso l’importante decisione di indagare anche queste ultime, servendosi della squadra speciale di esperti fiscali creata l’anno scorso apposta per il controllo scrupoloso dell’attività della YUKOS. Tra altre verranno controllate la “Rosneft”, incorporata alla “Gasprom” e la “Tatneft”, che si trova sotto il controllo delle autorità di Tatarstan.
    La campagna anti-YUKOS ha già provocato complicazioni nelle relazioni tra Russia e l’Unione Europea. Secondo il rapporto redatto dal relatore speciale dell’APCE Sabina Leuthauser-Schnarrenberger, “Le circostanze dell’arresto e l’accusa di alti dirigenti della società petrolifera russa Yukos fanno pensare a un’arbitraria «presa di mira» da parte delle autorità russe, in violazione al principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge”.
    Nel documento viene anche osservato come l’azione delle autorità russe vada al di là della normale procedura giudiziaria per le violazioni alle norme legislative, e come sia indirizzata all’ “indebolimento di un avversario politico dichiarato, l’intimidazione di altre persone ricche e la ripresa del controllo di attivi economici strategici”. La commissione Affari legali e diritti dell’Uomo della APCE ha approvato il documento all’unanimità.
    Di una cosa, possono consolarsi gli azionisti della YUKOS. Rendendo onore al vecchio detto russo: “ciò che è promesso va aspettato tre anni”, l’imprenditore Vladimir Gussinski ha definitivamente vinto la causa contro lo Stato russo, accusato di violazione nei suoi riguardi di due articoli della convenzione sui diritti dell’uomo –quello sul diritto alla libertà ed alla sicurezza e quello sulla limitazione dei diritti-. La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la Russia deve pagare 88 mila euro a titolo di compenso spese giudiziarie. Così forse, chissà, nel 2008 saremo testimoni di una querela al governo russo anche da parte di Mikhail Khodorkovski o di uno dei suoi partner.

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