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Numero 3(94)
Giovanni Paolo II e la Russia
La mancata visita del Successore di Pietro al Cremlino


    La storia di Karol Woytila, primo pontefice slavo della storia è strettamente legata a quella dei popoli dell’Est europeo. Vive da giovane l’esperienza del comunismo e delle persecuzioni religiose degli ateisti, condividendo in questo la sorte di tanti altri sacerdoti e rappresentanti non solo del Cattolicesimo ma anche dell’Ortodossia.
    Molti sostengono che Giovanni Paolo II quindi sia stato, prima negli anni della cortina di ferro, poi del disgelo, ed infine della caduta del muro di Berlino il pontefice più “opportuno” che la Chiesa potesse avere, cioè che più di chiunque altro fosse in grado di comprendere il dramma delle popolazioni cristiane assoggettate al regime, avendolo vissuto in prima persona. Il suo contributo alla caduta del regime comunista in Europa trova concreta espressione nel sostegno a “Solidarnosc’”, il primo sindacato libero d’ispirazione cattolica della Polonia comunista, e successivamente nelle relazioni personali che instaura con Michail Gorbaciov, il leader della perestrojka, il quale lo definirà “senza dubbio l’umanista numero uno dei nostri tempi”. Il suo dialogo prosegue sicuramente fruttuoso con Boris Eltsin e poi parzialmente anche con Vladimir Putin. Papa dell’azione, più che della diplomazia, dimostra grandi doti communicative e carismatiche, e attraverso l’interesse dimostrato per il destino di milioni di persone nel mondo riesce negli anni del suo pontificato a conquistarsi l’affetto e la simpatia anche dei cristiani non praticanti, oltre che a guadagnarsi la stima e il rispetto di tanta gente professante altre religioni. Qualcuno ha persino voluto intravedere nella sua nomina a pontefice un tentativo da parte della Chiesa cattolica di mantenere saldi nella figura vivente del pontefice, polacco d’origine, il legame spirituale con i paesi dell’Est, parte integrante della cristianità, ma “persi” dietro la cortina di ferro.
    Sarebbe stato il simbolo dell’apertura della Chiesa di Roma ai propri “fratelli” d’Oriente, apertura indipendente dalla politica internazionale, dalle ideologie, dai vari interessi governativi. È il papa del dialogo interculturale e interreligioso, fino alla fine difenderà sempre i valori della dignità, della vita e della libertà umana, valori spirituali che sono in fondo universali, ed è il primo che, con il famoso Mea culpa pronunciato il 12 marzo del 2000 chieda venia per tuti i peccati commessi dalla Chiesa. Nonostante tutto ciò, la Russia non gli apre nemmeno una volta le porte, rimanendo insieme alla Cina una meta a lui preclusa. Per la Cina la cosa si spiega abbastanza facilmente. Il comunismo nelle terre di Mao sopravvive, sebbene in qualche forma “profondamente dissimile dall’archetipo”, e dove c’è falce e martello, si sa, non ci può stare il crocifisso. I cattolici cinesi non “irregimentati” e controllati dal governo, ovvero coloro che rimangono fedeli ai precetti e ai dogmi della Santa Sede sono costretti alla clandestinità. Ma la Russia già da quindici anni ha – almeno formalmente - abbandonato le orme di Lenin, avvicinandosi (spintonata, strattonata, o di buon grado, a seconda dei casi) all’Occidente. Perché un diniego, in tutti questi anni, alla visita ufficiale a Mosca del pontefice? Come mai un Papa che si è sempre dato tanto da fare contro i soprusi del comunismo - vittima dei quali è rimasta anche la cristianità in Russia - non è ben accetto? E perché il Capo di Stato russo ai funerali di Giovanni Paolo II, che pure egli ha incontrato e conosciuto personalmente era assente, e ha spedito in sua vece Fradkov, il primo Ministro? La cosa ha se non altro incuriosito la diplomazia dei governi occidentali. Al centro della questione paiono essere i recenti attriti tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa Cattolica, o per essere più precisi, tra il Patriarcato di Mosca e la Santa Sede di Roma. Recenti per modo di dire, perché è già dai primi anni ’90 che i rapporti tra le due istituzioni ecclesiastiche sono eufemisticamente tesi. E le cose non sembrano destinate a migliorare, almeno a breve. Sebbene il presidente Putin si sia sempre dichiarato favorevole ad una visita di Giovanni Paolo II in Russia, era la Chiesa Ortodossa, come noto, ad essere di tutt’altro parere. Per motivazioni tuttavia che avevano (ed hanno tuttora) poco a che vedere con la persona fisica del pontefice. Infatti Alessio II ha proprio alcuni giorni fa pubblicamente ribadito di non essere intenzionato ad incontrarsi neanche con il nuovo pontefice, Joseph Ratzinger, alias Benedetto XVI. Giovanni Paolo II, sebbene apprezzato come persona sia da Alessio II che dal Sinodo della Chiesa Ortodossa russa, era il primo rappresentante della Chiesa Cattolica. E la Chiesa Cattolica, ad opinione degli ortodossi (e non solo russi, ma slavi in genere) si sta comportando molto male nei confronti della “sorella” orientale. Per questo motivo le relazioni sono state se non troncate quantomeno congelate, e i rappresentanti della Chiesa Ortodossa accetteranno di incontrarsi con quelli della Cattolica solo quando quest’ultima riparerà alle gravi offese recentemente recate agli ortodossi. Le accuse sono in sostanza due. Quella di invasione del territorio canonico della Chiesa Ortodossa e quella di proselitismo. Che poi in realtà sono le due facce di una stessa medaglia; l’espansionismo cattolico nei territori “tradizionalmente” ortodossi. I contrasti si sono riaccesi a seguito della creazione di quattro nuove diocesi cattoliche in Russia, oltre che all’imminente riconoscimento alla Chiesa greco-cattolica di Ucraina, storica avversaria di quella ortodossa, dello status di Patriarcato. Tutte “iniziative”– secondo gli ortodossi russi – scorrette, che vanno a detrimento dell’istituzione della Chiesa Ortodossa, e che devono essere se non abbandonate quantomeno ridiscusse. Il Vaticano, per riassumere, tentenna tra la difesa dei propri interessi, quelli dei greco-cattolici ucraini e quelli degli ortodossi, difendendosi dietro ad argomenti come quello sulla libertà religiosa propria di ogni Paese democratico, temporeggiando e cercando di negoziare.
    Per farla in breve, la questione ha ben l’aspetto di un ginepraio, e alla luce di tutta una serie di complicati retroscena è comprensibile che “VVP” se ne voglia tener alla larga. In un’intervista rilasciata a dei giornalisti americani aveva tempo fa apertamente dichiarato di gradire il Papa su suolo russo, e questo ci fa supporre che lo apprezzasse come interlocutore politico, e forse anche come persona. Ma aveva anche soggiunto prudente che l’avrebbe invitato esclusivamente come capo di Stato del Vaticano, e non come pontefice. Tale circospezione diplomatica si giustifica esclusivamente con il desiderio o forse addirittura la necessità di non impermalire gli ortodossi russi. Perché, ci si chiede in Occidente, il presidente russo avrebbe così tanto a cuore gli interessi di una religione che in epoca presovietica era sì nazionale, ma che riemerge formalmente dall’abisso delle persecuzioni comuniste solo nel corso degli ultimi decenni? Ipotizzare che il Cremlino stia riscoprendo il valore del messaggio cristiano ed intenda proteggere l’istituzione secolare (millenaria) che in Russia se ne è sempre fatta portavoce fa troppo Walt Disney. Una seconda ipotesi, ancora meno plausibile, è che il Cremlino subisca delle pressioni politiche da parte del Sinodo della Chiesa Ortodossa in tal senso. Nel qual caso ci sarebbe da chiedersi quali strategiche, temibili risorse possano mai garantire alla comunità religiosa ortodossa questi risultati. La terza ipotesi (e rimane tale, beninteso) è che forse il Cremlino desideri accordare alla Chiesa Ortodossa più voce in capitolo. E qui le interpretazioni si moltiplicano. Che si stia cercando un reciproco spalleggiamento Stato- Chiesa in vecchio stile zarista, ovvero un equilibrio di potere nel quale lo Stato garantisca protezione alla Chiesa, e la Chiesa a sua volta ne giustifichi l’autorità? Che l’ostilità della Chiesa Ortodossa, e specialmente quella degli estremisti slavofili valga invece più sottilmente al Cremlino come strumento inibitorio ad una generale, massiccia ingerenza occidentale che si manifesta anche in altri ambiti? O sarà che, più semplicemente, si apprezza anche ai vertici di governo l’attività della Chiesa Ortodossa, che dopo i primi momenti di smarrimento seguiti alla caduta del muro, sta cominciando a ricordare ai russi le proprie radici spirituali e culturali, contribuendo in tal modo a rafforzare in loro orgoglio, senso di appartenenza, stima e fiducia in sé stessi e nel Governo? Forse, molto più semplicemente, come del resto aveva dichiarato Putin stesso in un intervista rilasciata all’Ansa in occasione della sua visita al Papa, il suo obiettivo nei rapporti con il Vaticano “non è tanto assicurare la visita del Papa in Russia, quanto assecondare tutti quei passi che possono favorire l’unità dei cristiani, considerata un mezzo per l’integrazione della Russia in Europa”. Tuttavia si tratta probabilmente per Putin di un’unità che dev’essere conseguita attraverso i “passi” giusti, ovvero attraverso un dialogo paritetico; concedere qualsiasi cosa ai cattolici senza rispettare la volontà di coloro la cui dignità religiosa, storica e sociale ha (o ha avuto perlomeno in passato) indiscutibilmente maggior rilevanza in territorio russo di quella cattolica non è sicuramente la strada giusta. Si tratterebbe non più di consenso e comunione, ma di prevaricazione, foriera di ben altri sviluppi (vedi Yugoslavia).
    Ultima considerazione riguardo alla mancata trasmissione in diretta dei funerali del Papa da parte dei mass-media russi. C’è lo zampino del Cremlino, e non ci si poteva aspettare diversamente, per tutte le ragioni qui ipotizzate. Ma ad alcuni esponenti dei partiti nazionalisti che si sono espressi a sfavore delle polemiche a ciò seguite, e di “tutto questo interesse” nei confronti di una personalità occidentale che poca attinenza ha con la Russia, si potrebbe rispondere che i mass-media hanno le proprie priorità, le quali, per fortuna o sfortuna, ma specialmente nei paesi democratici (o professantisi tali) a volte non coincidono con le priorità del governo. I mass-media russi sono (o dovrebbero essere) liberi di omologare a torto o a ragione le proprie soglie di notiziabilità a quelle europee, occidentali, altrui in genere, per quanto ciò possa risultare discutibile.

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