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Numero 8(99)
2005. Risultati

    Nell’anno che se ne va, si è delineata nettamente una tendenza che implica l’instaurarsi del capitalismo statale nel Paese e la restituzione allo Stato di posizioni dominanti nell’economia, soprattutto nel settore del gas e del petrolio. Nell’ambito di questo trend, è continuata l’offensiva contro la YUKOS, iniziata con gli arresti di alcuni dei suoi top manager nel 2003. I dirigenti della compagnia, Mikhail Khodorkovskij e Platon Lebedev, sono stati condannati nel maggio scorso ai lunghi termini di reclusione e sono stati mandati, per scontare la pena, in riformatori remoti, situati al Nord e nell’Estremo Oriente. Le ambizioni politiche, le quali, tutto sommato, avevano portato Khodorkovskij al banco degli imputati, continuano peraltro a motivarlo anche dopo la condanna. Dal lontano riformatorio l’ex oligarca si è messo a preparare progetti relativi al riordinamento dello Stato.
    Tale attività ha comportato un’altro processo giudiziale dimostrativo, durante il quale Aleksej Kurtsin, un manager della società “YUKOS-Moskva” – il quale, secondo alcune informazioni, avrebbe realizzato operazioni, relative al pagamento di onorari agli avvocati di Khodorkovkij e Lebedev - è stato condannato a 14 anni di reclusione. Dopo che la “Gazprom” aveva comprato la “Sibneft” per 13 miliardi di dollari a Roman Abramovich, un altro oligarca che è anche il governatore di ukotka, lo Stato è diventato il giocatore più rilevante in questo settore (considerata la confisca di fatto della “Yuganskneftegaz” che estraeva il 60% del petrolio della “YUKOS” a favore di un’altra compagnia pubblica, la “Rosneft”).
    I temi più importanti dell’anno non sono più stati peraltro quello della lotta agli oligarchi e neanche quello della famigerata “rendita naturale”. Il titolo del “tema dell’anno” si poteva attribuire al progetto di impiego del fondo di stabilizzazione e all’“invasione degli immigrati”. Per quanto riguarda il primo argomento, le autorità sono riuscite a riorientare l’attenzione della società verso progetti sociali imponenti, da loro stesse proposti. È stato costituito il Consiglio per la realizzazione di progetti nazionali priortari presso il Presidente della Russia. Alla sua prima riunione, svoltasi il 29 novembre, è stato dichiarato che per la realizzazione di quattro progetti nazionali, “Sanità aggiornata”, “Istruzione di qualità”, “Casa accessibile” ed “Agricoltura efficace”, verranno stanziati nel complesso circa 180 miliardi di rubli.
    Si prevede che nei prossimi due anni, grazie al programma “Casa accessibile”, 110 giovani famiglie potranno avere un’abitazione migliore. A febbraio del 2006, medici di quartiere, infermiere ed insegnanti cominceranno a ricevere pagamenti supplementari. 30 miliardi di rubli verranno stanziati per risolvere il problema delle abitazioni per i militari. Purtroppo, non sono stati presi in considerazione due problemi che nel prossimo futuro potrebbero assestare un colpo vigoroso al benessere della Russia. Si tratta anzittutto dell’epidemia dell’AIDS. Secondo i calcoli degli osservatori indipendenti, oggi “la peste del XX secolo” ha contagiato circa un milione di persone, per la riabilitazione delle quali servono investimenti notevoli. L’ulteriore aumento del tasso di casi di malattia potrebbe privare l’economia di manodopera e caricarla con spese insostenibili. Si tratta anche dell’estrema obsolescenza del sistema energetico.
    Per quanto riguarda il secondo argomento, le autorità hanno cominciato coll’annunciare una grande sanatoria relativa all’immigrazione irregolare, nel corso della quale verrà legalizzata la permanenza di un milione di persone, molte di cui vivono in Russia ormai da più di 10 anni. E qualche giorno fa, Vladimir Putin ha presentato alla Duma un disegno di legge che semplificherà notevolmente la procedura di ottenimento della cittadinanza da parte degli abitanti delle ex repubbliche sovietiche che risiedono legittimamente per lunghi periodi nel territorio della Federazione Russa. Il disegno di legge contempla la proroga del termine di presentazione delle domande per l’ottenimento della cittadinanza e l’aumento del numero di categorie di cittadini autorizzati ad ottenere la cittadinanza russa in modo semplificato.
    Parlando della situazione politica interna, il governo, intimorito dalla “Rivoluzione arancione” a Kiev, ha fatto di tutto per annientare la stessa possibilità che un simile “majdan” possa ripetersi. È stato effettuato un rimpasto notevole nella dirigenza di alcuni mass media, in seguito al qaule alcuni giornali nazionali sono passati ai nuovi proprietari fedeli al Cremlino. È stata eliminata l’indipendenza del canale televisivo Ren-TV che rimaneva l’ultimo canale la cui presentazione di informazioni divergeva sostanzialmente da quella delle altre televisioni. I nuovi dirigenti del canale non hanno tardato a dar prova del proprio servilismo, cacciando via, alla fine di novembre, Olga Romanova, una delle conduttrici più popolari del telegiornale. Sono stati urgentemente presentati alla Duma di Stato emendamenti alle leggi sulle organizzazioni pubbliche e no-profit che complicano notevolmente la procedura della loro registrazione. Al fine di contrastare eventuali disordini di massa è stato creato il movimento “Nasci” (i Nostri), che ha subito accusato gli oppositori liberali di fascismo. In parallelo, è cominciata una campagna, mirata contro l’ex premier Mikhail Kasjanov che aveva dichiarato di ambire al posto di Presidente. Aleksandr Khinstein, un giornalista dalla fama scandalosa, ha accusato Kasjanov di aver perpetrato macchinazioni per l’ottenimento di alcuni immobili, e la procura ha istruito un procedimento penale a carico del politico. Contro Kasjanov peraltro potrebbe valere, più della procura, l’impossibilità di comunicare coi leader dei partiti democratici e liberali, quasi nessuno dei quali vuole cedere il proprio posto a degli “estranei”. Pare che sia stato deciso anche di intimidire un po’ la popolazione con il nazismo vero e proprio, che è stato ventilato arriverebbe subito al potere, qualora cadesse Vladimir Putin. Proprio a questo scopo doveva servire la così detta “marcia della destra”, svoltasi il 4 novembre nella capitale con gli slogan della “cacciata degli occupanti”. A metà novembre, è stato operato un rimpasto importante al vertice del potere, in seguito al quale Mikhail Fradkov si è ritrovato due nuovi vice: Dmitrij Medvedev, l’ex capo dell’amministrazione presidenziale, e Sergej Ivanov, il Ministro della Difesa, che ha mantenuto anche il suo posto precedente. Al posto di Medvedev è stato designato Sergej Sobjanin, il governatore di Tiumen. Molti hanno affermato che in tal modo Vladimir Putin avesse cominciato ad “introdurre in società” eventuali successori.
    È lecito pure ipotizzare che tutte queste azioni siano una preparazione per le elezioni anticipate della Duma e del Presidente e per la consegna di potere anticipata da Vladimir Putin al suo successore.
    Nonostante le dichiarazioni ufficiali relative alla pacificazione completa del Caucaso del Nord, la situazione reale in quest’area continua ad essere tesa. E sebbene i servizi segreti siano riusciti (secondo varie ipotesi, per caso, o in seguito ad un lavoro finalizzato) a fronteggiare l’incursione contro Nalik, la capitale della Kabardino-Balkaria, eliminando o catturando la maggior parte degli incursori, nella stessa Cecenia durante le elezioni parlamentari le esplosioni, gli omicidi e le rapine nella Repubblica non sono venuti meno.
    Nel campo della politica estera, la Russia sembra aver trovato un’arma capace di restituirle la possibilità di essere una potenza autorevole: si tratta delle forniture di materie prime, gas e petrolio ad altri Paesi. È anche chiaro ormai che i leader occidentali più importanti hanno rinunciato a litigare con la Russia per il rispetto dei principi democratici sul territorio dell’ex URSS. Di conseguenza, le previsioni apocalittiche di alcuni politici ed esperti in merito alla diffusione dell’esperienza “arancione” in tutti i Paesi della CSI non si sono avverate. E i regimi “di colore”, con l’approssimarsi del freddo invernale, hanno realizzato che insieme alla sparizione dell’orientamento prorusso nella loro politica, è sparito anche il prezzo del gas, che era di 2 o 3 volte inferiore a quello di mercato. I tentativi disperati dell’Ucraina di proporre uno scambio - gas in cambio di armi - o di minacciare una ripresa delle ruberie del gas e l’ingresso nella Nato, hanno trovato a Mosca un atteggiamento abbastanza tranquillo. E l’accordo sulla costruzione del Gasdotto dell’Europa settentrionale, firmato a settembre proprio alla vigilia delle elezioni anticipate al Bundestag, finite con il ritiro di Gerhard Schroeder, è diventato “una risposta asimmetrica” alla costruzione dell’oleodotto Baku-Geihan, che doveva sottrarre all’influenza russa la Transcaucasia. Tale mossa della Russia ha provocato una vera e propria crisi isterica dei Paesi baltici e della Polonia, che sono destinati a perdere notevoli dividendi finanziari e politici. E quando la stessa Polonia ha dichiarato di essere disposta a collocare sul proprio territorio gli ordigni americani del sistema di difesa antimissilistica, Jurij Baluevskij, Capo dello Stato Maggiore russo ha “compatito” i polacchi in un’intervista rilasciata ai mass media –polacchi- osservando che la Russia dispone di tecnologie capaci di superare qualsiasi sistema di difesa antimissilistica, e quindi il collocamento dei missili americani “potrebbe provocare dei danni ecologici notevoli”. Intanto, Serghei Ivanov ha dichiarato di aver stipulato un contratto con l’Iran per la fornitura a questo Paese di un sistema missilistico guidato antiaereo -1. Nello stesso giorno ha avuto luogo la sottoscrizione di due grossi accordi russo-siriani, relativi al settore del gas, per l’importo totale di 370 milioni di dollari. Visto che la reazione degli USA nei confronti di tali operazioni è abbastanza prevedibile, Vladimir Putin avrà decisio di dimostrare al Paese e al mondo la sua indipendenza dal “centro operativo di Washington”. La Russia sta tornando anche nell’Asia Centrale, dalla quale è stata scalzata dagli USA. Il momento chiave di questo ritorno è stato il supporto dato da Vladimir Putin al Presidente uzbeco Islam Karimov, quando questi aveva schiacciato la rivolta degli islamici ad Andigian. Mentre l’Unione Europea ha dichiarato l’introduzione delle sanzioni nei confronti dell’Uzbekistan, e gli USA esprimevano dubbi riguardo alla correttezza dell’operato violento di Karimov, Mosca ha annunciato di sostenere completamente quanto ha fatto il leader uzbeco. Di conseguenza, a novembre del 2005 è stato firmato un accordo sull’alleanza militare tra la Russia e l’Uzbekistan, mentre è stato richiesto lo sgombero della base militare americana che si trovava nella repubblica dal 2001.

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