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Numero 3(102)
Mai piu’ greggio a buon mercato
Il prezzo del petrolio Brent a Londra supera per la prima volta nella storia la quota di 70 dollari


    In seguito alle contrattazioni del 12 aprile, alla Borsa internazionale del petrolio di Londra (IPE) il prezzo al barile del petrolio Brent ha superato la quota di 70 dollari, di più di 70 dollari per i contratti a termine con consegna a giugno, e di oltre 71 per quelli di novembre. Secondo gli analisti, ciò che preoccupa non è il nuovo record, ma soprattutto la probabilità che si mantenga stabile per un lungo periodo. Ci sono tutti gli estremi per ritenere che il prezzo non scenda più.
    Il mercato internazionale del petrolio è stato in preda al nervosismo in seguito agli uragani in America: allora i prezzi del petrolio Light crude alla Borsa merci di New York avevano toccato i 70 dollari al barile, mentre un barile di Brent costava 68 dollari. Con queste premesse non sembravano più tanto favolistiche le previsioni della Goldman Sachs sulla possibile impennata fino ai 100 dollari al barile.
    Ma allora alcuni trader erano ancora sicuri del fatto che, anche se il prezzo del Light crude fosse arrivato ai 75-80 dollari, avrebbe comunque iniziato a scendere verso l’inizio del 2006. E infatti alla fine di ottobre del 2005 il costo dei contratti a termine per il Light crude alla Borsa merci di New York si era veramente ridotto fino ai 60-61 dollari al barile, e per il Brent fino ai 58-59.
    Ma all’inizio del 2006, per la complicazione della situazione geopolitica e per il freddo in Europa, il petrolio ha cominciato a rincarare di nuovo. E oggi sono in pochi a credere che il prezzo del petrolio possa diminuire di molto: l’era del greggio a buon mercato è finita, punto e basta.
    Il Brent all’IPE ha oltrepassato la soglia storica di 70 dollari al barile: 70,5 dollari per la consegna in giugno e 71,17 dollari per la consegna in novembre. Il rincaro si è registrato anche negli USA, malgrado l’aumento delle riserve mondiali di petrolio dimostrato dalle statistiche.
    Secondo gli analisti, anche se la questione “Iran” si dovesse risolvere in modo pacifico, i prezzi non scenderanno sotto la quota di 50-60 dollari al barile. Mentre qualora non si trovasse una soluzione pacifica, è probabilissimo che si arrivi anche fino ai 90-100 dollari.
    L’aumento attuale dei prezzi del petrolio è dovuto prevalentemente alla situazione tesa attorno all’Iran e alle alte previsioni di crescita economica mondiale. Inoltre fanno la loro parte i tumulti in Nigeria e l’indurimento della politica fiscale nei confronti delle società di estrazione del petrolio venezuelane. Influisce significativamente però anche il cosiddetto fattore psicologico: le aspettative degli investitori relative ai prezzi sono tutt’altro che ottimistiche. Prevale infatti la convinzione che il petrolio non farà che rincarare.
    Secondo quanto affermano i rappresentanti delle compagnie petrolifere russe, la crescita dei prezzi sarebbe un fattore positivo solo per quanto riguarda l’estrazione all’estero. “In Russia il sistema fiscale ci sottrae il 90% di ciascun petroldollaro, se il prezzo supera i 25 dollari al barile” riferisce Ghennadij Krassovskij, capo del dipartimento per il lavoro con gli investitori della Lukoil.
    La maggior parte dei proventi va allo Stato, confermano i rappresentanti del Ministero delle Finanze, sebbene anche le aziende ottengano una loro quota. La maggior parte dei redditi sarà sterilizzata nel fondo di stabilizzazione, e il resto sarà destinato al bilancio.

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