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Numero 3(102)
Al Presidente “solo” l’ottantatre per cento
Bielorussia: Lukashenko supera tutti
Unione Europea e Mondo Anglosassone contestano le elezioni.Congratulazioni da Russia, Cina e Cuba


    Le elezioni presidenziali del 19 marzo in Bielorussia hanno mostrato una vittoria netta di Aleksandr Lukašenko, che dirige il Paese ormai da quasi 12 anni. Il risultato ufficiale, cioè la vittoria al primo turno con l’83% dei voti ha permesso all’opposizione di parlare di brogli elettorali. Accuse poco credibili, dato che oggi come oggi un venir meno assoluto o anche solo parziale del sostegno popolare a Lukašenko sarebbe impensabile. Per una parte notevole di bielorussi, infatti, il Bat’ka (= buon padre) è la personificazione della stabilità e della prevedibilità. La macchina propagandistica costruita dal leader bielorusso è riuscita a far credere alla popolazione che la Bielorussia sia “un’isola di stabilità” nel “mare del caos” (come riportano i media russi di opposizione). É lecito ipotizzare comunque che i risultati siano stati corretti “a favore” di Lukašenko, e questo per escludere la possibilità di un ballottaggio che - secondo il governo – avrebbe potuto venire interpretato come una dimostrazione di “debolezza”. Con ogni probabilità sono state “corrette” le preferenze di coloro che hanno votato in anticipo, e, grazie all’attività delle autorità bielorusse che avevano previsto tale eventualità già nel 2004, hanno votato in anticipo non meno del 30%-40% degli elettori.
    Dopo la dichiarazione ufficiale dei risultati delle elezioni, l’opposizione ha cercato di ricorrere allo “scenario da Majdan”: ha annunciato di non riconoscere la leggitimità di Lukašenko, e ha organizzato una grande manifestazione nella centrale Piazza Oktjabrskaya – manifestazione battezzata subito “rivoluzione di jeans” – piantando le tende. Ma, a differenza di Kiev, dove i contestatori erano sostenuti ufficialmente da potenti gruppi d’élite, in Bielorussia di tale appoggio non v’è stata traccia. I manifestanti, secondo le stime più ottimistiche, non sono stati più di 20.000, e spesso sulla piazza non sono rimaste a picchettare che alcune centinaia di persone. Inoltre, le autorità di Minsk non sono rimaste con le mani in mano. L’accesso alla piazza è stato bloccato, e quindi i manifestanti non hanno potuto ottenere viveri e “rinforzi”. Sono stati arrestati numerosi gruppi di persone, condannati poi a 15 giorni di reclusione per “vandalismo”. E finalmente, il 24 marzo, il “campeggio” di tende è stato liquidato, mentre il giorno dopo è stato bloccato il comizio dell’opposizione. La dispersione della folla è stata attuata nel modo più duro possibile per un regime che cerca di camuffare la sua sostanza dittatoriale. Qualche centinaio di persone è stato malmenato, un uomo è morto in ospedale a seguito delle lesioni subìte. Di fatto, l’operato di Lukašenko ha dimostrato quale strada potevano seguire le autorità ucraine nel novembre-dicembre 2004 se Leonid Kuma fosse stato un po’ più fermo, e il tempo a Kiev più freddo di una decina di gradi. L’8 aprile si è svolta la solenne cerimonia d’insediamento di Lukašenko.
    La sconfitta dell’opposizione bielorussa è dovuta ad alcuni fattori. Innanzittutto, gli oppositori non sono riusciti ad unirsi defintivamente. La presenza di due candidati assai ambiziosi, che non sono riusciti a mettersi d’accordo su una strategia d’azione congiunta – perché ciascuno di essi sperava di tagliare per primo il traguardo – ha limitato le possibilità dell’opposizione. La rivalità si è manifestata in modo fatale durante il “majdan di Minsk”: Kozulin invitava la gente ad andarsene e accusava il suo “collega” Aleksandr Milinkevi di “proditorietà e perfidia”, mentre Milinkevi rispondeva chiamandolo “provocatore”. I litigi tra i due sono poi diventati regolari. In secondo luogo, né Milinkevi, né Kozulin sono riusciti a proporre alla popolazione bielorussa una serie di slogan chiari e popolari (“la scelta europea” è di moda in Ucraina, ma non in Bielorussia, in cui l’ambiente è assolutamente diverso, e in cui la popolazione non vede nell’UE un bene). E infine un ultimo fattore: l’opposizione non aveva un piano d’azione in caso di una reazione dura da parte delle autorità. Gli oppositori probabilmente ritenevano che sotto la pressione dei comizi sulla piazza centrale e quella dell’Unione Europea, Lukašenko sarebbe stato costretto a mollare e si sarebbe riprodotta la situazione della “rivoluzione arancione”.
    Ma gli oppositori hanno sopravvalutato la propria popolarità presso le masse, e l’UE non ha potuto che pubblicare, il 10 aprile, “una lista nera” dei funzionari bielorussi ai quali sarà vietato l’ingresso nei Paesi dell’Unione Europea. È difficile che ciò possa avere qualche effetto notevole su Aleksandr Lukašenko, come anche il congelamento dei conti correnti dei funzionari bielorussi nei Paesi dell’UE, visto che tutte le somme più o meno ingenti quasi sicuramente erano state da tempo messe al sicuro. Ma Lukašenko potrebbe subìre un colpo da una parte assolutamente diversa, da Mosca. Sebbene ufficialmente la Russia avesse appoggiato in toto l’operato di Lukašenko, partendo dal principio “figlio di puttana sì, ma nostro”, e non volendo una nuova propagazione del “morbo arancione” nello spazio della CSI, sembra tuttavia che l’élite russa (o una sua parte) non sia sicura che Lukašenko possa resistere fino al 2011. Inoltre, le autorità russe sono un po’ stufe di un alleato poco prevedibile che costa parecchio e che cerca di svolgere un campagna PR mirata al discredito delle autorità russe, le quali non vorrebbero l’unione con la Bielorussia - a quanto egli diffonde - mentre in realtà è Lukašenko stesso a non volerla. Un segnale che ha fatto intuire la bendisposizione di almeno una parte dell’élite russa ad una possibile sostituzione del regime di Lukašenko è stato quello della dichiarazione della Gazprom sul netto aumento del prezzo del gaz pianificato dal 1 gennaio 2007: il monopolista del gas insiste su un prezzo non inferiore a 140 dollari per mille metri cubi di gas (oggi siamo a 46 dollari). Secondo alcuni esperti, tale cifra sarebbe solo un tentativo di assicurare le migliori condizioni di partenza al progetto della Gazprom di controllare il tratto bielorusso del gasdotto (oggi Lukašenko vuole, per il pacchetto di controllo 2,5 miliardi di dollari, mentre la Gazprom è disposta a dare una cifra inferiore di quasi dieci volte, 300 milioni). Ma può darsi anche che si sia in presenza di un tentativo di disfarsi di un alleato ingombrante (liberandosi anche dalle accuse di un approccio selettivo nel ritocco del tariffario), perché con il gas a tali prezzi, il bilancio bielorusso si estinguerà presto, e l’industria diventerà presto un ricordo.

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