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Numero 6(51)
La guerra (dei polli) continua

    La “guerra dell’acciaio”, scoppiata per la decisione del Presidente statunitense George Bush di aumentare i dazi, continua ad acquistare dimensioni sempre maggiori.
    I partecipanti al vertice dell’UE a Barcellona hanno accusato gli USA di voler compromettere il commercio internazionale, e hanno dichiarato possibili misure di risposta. E’ già cominciata la stesura di un elenco delle merci americane che subiranno sanzioni di risposta. Inoltre, l’UE, il Giappone e la Corea del Sud hanno già presentato una relativa querela alla WTO. Del resto, ad intimidire veramente gli USA potrebbe esserci la possibile istituzione di una sorta di OPEC dell’acciaio, annunciata espressamente dall’Associazione europea del carbone e dell’acciaio e da alcuni stabilimenti siderurgici europei.
    Anche l’Ucraina ha dato il suo modesto contributo allo svolgimento della guerra in questione: l’ex repubblica sovietica cerca di evitare, in questo modo, sanzioni russe per il dumping. Anatoli Kinakh, il primo ministro ucraino, ha dichiarato di introdurre limitazioni per l’importazione del minerale di ferro russo e non ha escluso la riduzione delle quote per l’importazione delle auto russe.
    Ma le “azioni di guerra” principali si svolgono sul territorio russo. Dato che le sanzioni introdotte dalla Russia contro la carne del pollame americano avevano danneggiato notevolmente gli imprenditori agricoli statunitensi, già il 21 marzo sono iniziate trattative, alle quali gli americani formalmente hanno accettato qualche concessione. Hanno acconsentito che fossero forniti semilavorati, rifiutandosi però di abolire i dazi proibitivi per i prodotti d’acciaio finiti. In parallelo al negoziato, gli USA incrementavano le pressioni ufficiose sulla Russia. Sono state talmente forti che già il 22 marzo il premier russo Mikhail Kassianov ha detto che gli USA potranno prossimamente riprendere le esportazioni della carne del pollame in Russia. Ha rilevato che dall’elenco degli esportatori saranno escluse quelle aziende nei prodotti delle quali era stata trovata la salmonella. Quanto alle altre aziende, il problema “può essere risolto entro 20-30 giorni come massimo”, ha precisato Kassianov. Ha sottolineato che “per la Russia l’argomento è chiuso. Abbiamo individuato tutti i motivi e abbiamo fatto tutti i bilanci”. In questo modo, la soluzione del problema risulta “molto semplice”.
    Ma proprio la sera dello stesso giorno Kassianov si è smentito da sé. Ha detto che il mercato agricolo russo sarà, come prima, assolutamente chiuso ai prodotti stranieri, rilevando che la Russia ha bisogno di una certa sosta, per riposare dall’eccessiva concorrenza. Questa sosta, a detta del premier, potrebbe durare anche dieci anni: fino a quando il settore agricolo nazionale non diventi una struttura efficiente. Tale decisone di Kassianov, quasi sicuramente, è stata influenzata da forti atteggiamenti di protesta tra gli avicoltori. La Duma di Stato ha approvato un decreto “Sull’appoggio della posizione del Ministero dell’agricoltura della Russia, relativa alla limitazione provvisoria delle importazioni di carne di pollo nella FR”. Davanti all’ambasciata americana si è addirittura tenuto un picchetto “In sostegno dei produttori nazionali”.
    Oltre agli avicoltori, hanno colto l’occasione anche gli altri lobbysti. In sordina sono state approvate le decisioni di introdurre alti dazi d’importazione per le auto usate straniere: molti di questi dazi sono praticamente proibitivi.

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