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Numero 11(56)
Scusi, Kandinskij non c’è

    Si entra nel museo del KGB attraverso un atrio cavernoso, ornato di colonne e di un enorme busto bianco di Felix Dzerzhinski, fondatore della polizia segreta russa.
    Dopo, si salgono le scale, si passa vicino all’iscrizione a lettere d’oro “Ai cekisti, soldati della Rivoluzione” e ci si incontra con la guida ufficiale che, veterano di lunga data della vecchia KGB, rifiuta di dare il suo nome ai visitatori.
    I cekisti erano membri della versione 1.0 del KGB, originariamente nota, alla sua istituzione nel 1918, come CeKa (abbreviazione di “Commissione straordinaria per la lotta contro sabotaggio e controrivoluzione”). Ufficialmente la storia del KGB terminò nel 1991, quando il fallito tentativo di rimuovere Mikhail Gorbaciov dal vertice dell’URSS comportò la scissione della polizia segreta in varie componenti. Una di esse è il servizio interno di sicurezza, il FSB (Servizio federale di sicurezza) che recentemente è stato incaricato di gestire l’operazione cecena. L’altro, SVR (Servizio d’informazione esterna), gestisce l’attività delle spie russe all’estero, incluso, fino a poco fa, Robert Philip Hansen, agente smascherato della FBI, che aveva segretamente lavorato per i russi nel corso di 15 anni.
    Quando la guida senza nome sente domande relative ad Hansen, risponde in tono impassibile: “Non ne so nulla e non ho intenzione di far commenti”. D’altra parte, se ci si insiste, alla fine lui dice con un sorriso che un giorno nel museo potrebbero anche apparire i materiali dedicati al lavoro di Hansen, “se, certamente, ci riuniremo di nuovo con il SVR”.
    Il Museo del KGB sopravvive nella Russia postsovietica e non prova nessun rimorso. La guida ci informa con orgoglio che il museo era stato fondato nel 1984 da Juri Andropov, che diventò capo dello Stato sovietico dopo aver lavorato per anni come presidente del KGB. Quando le nuove reclute aderiscono al FSB di oggi, fanno il loro giuramento sulla Costituzione russa nella Sala Storica del Museo. Ma caso mai qualcuno non abbia recepito il messaggio sulla continuità, deve andare in fondo alla sala, dove sono esposti tre tipi di divisa della polizia segreta sovietica, datati dai primi anni ’20 agli anni ’70, mentre la quarta versione è l’uniforme attuale del FSB. Un grosso libro presenta ai visitatori diversi dirigenti dell’organizzazione, da Dzerzhinskij a Nikolai Patrushev, direttore attuale del FSB, successore di Vladimir Putin, ora Presidente della Russia. L’ultima stanza del museo contiene oggetti degli anni ’90, comprese le armi confiscate ai gruppi criminali organizzati e ai ribelli ceceni.
    Nel museo del KGB sono esposti 2000 oggetti, alcuni dei quali sono abbastanza interessanti per gli ammiratori dello spionaggio, come, ad esempio, la pipa che aveva fumato una volta Kim Filby, ex agente del servizio segreto britannico che faceva la spia a favore dell’URSS, o un set di aggeggi tolti agli agenti della CIA, catturati in Russia. Ogni anno, migliaia di visitatori pagano circa 10 dollari per poter passare 2 ore (sono permesse solo visite guidate), esaminando gli oggetti esposti. Fra gli ospiti del museo ci sono stati William Webster, l’ex direttore della CIA, e molte spie, provenienti da entrambe le parti della cortina di ferro.
    Tuttavia, non sono tanto gli oggetti esposti, quanto la versione della storia, presentata dal museo del KGB, che lo rende una perfetta introduzione alla Russia di Vladimir Putin. La Sala Storica, ad esempio, inizia la sua spiegazione della storia del KGB molto prima della rivoluzione bolscevica del 1917: di fatto comincia con l’istituzione del primo servizio di informazione estera, effettuata da Pietro il Grande. “In realtà”, dice la guida, “potete addirittura tracciare la nostra storia fin dal Quattordicesimo secolo”. In tempi sovietici, spiega lui, al museo non era naturalmente permesso accennare a qualsiasi legame con la polizia segreta degli Zar, dato che l’ideologia comunista ufficiale insisteva che la storia era partita da zero quando i Bolscevichi avevano preso il potere. La guida del museo crede che ciò non sia stato giusto: “Molte di quelle tradizioni erano belle e tutto ciò che era stato positivo nel periodo Zarista dovrebbe essere salvaguardato”.
    Similmente, i Cekisti non possono aspettare di ottenere 110 e lode dal museo solo per essere stati bravi comunisti. Uno dei carnefici più sanguinari di Stalin, il capo della polizia segreta Genrikh Jagoda, è criticato duramente nel museo del KGB per aver guidato il Grande Terrore degli anni ’20: “E’ stata una grande tragedia per la nostra organizzazione: 20000 dei nostri membri sono stati fucilati” (Sono menzionati un poco i milioni di altri cittadini sovietici che caddero vittime del terrore staliniano). Intanto, Dzerzhinski, il fondatore della polizia segreta, è apprezzato molto: “E’ stato un grande riformatore economico. Se fosse vissuto, forse saremmo stati in grado di arrivare all’economia di mercato più presto e avremmo evitato molti errori commessi più tardi nell’economia”.
    Curiosamente, un altro poliziotto segreto che ottiene i voti altrettanto alti è Lavrenti Beria che fu perdente nella lotta di potere dopo la morte di Stalin ed venne fucilato poco dopo. “Si”, ammette la guida, “Beria è stato un assassino”, ma poi spiega che anche lui voleva istituire riforme di mercato ed era disposto addirittura a permettere la riunificazione della Germania. In breve, ciò che importa nel museo del KGB non è l’ideologia comunista vecchio stile, né la democrazia e i diritti umani di oggi. Il FSB e altri servizi di sicurezza russi rimangono immuni da qualsiasi controllo parlamentare che mette almeno qualche restrizione al lavoro dei loro equivalenti occidentali (un punto mai menzionato nel museo). Se alla guida si fa una domanda sul Gulag, lui proporrà un argomento orwelliano che “ciò non ha niente a che vedere con noi: era la parte della polizia”.
    E’ una menzogna eclatante, ma è perfettamente in linea con la riscrittura della storia, di nuovo in voga con Vladimir Putin, la cui biografia contiene alcuni momenti da buttar via sui modi “gentili” con cui il KGB trattava i dissidenti. Putin ha parlato ripetutamente del suo “orgoglio” in merito al proprio lavoro al servizio d’informazioni del KGB e ha promosso innumerevoli allievi del KGB alle posizioni chiave nel governo, da quando è salito al potere. E il tipo di Russia che sembrano volere, appare evidentemente simile a quella esposta nel Museo del KGB: il nuovo ideale nazionalistico della Russia rivitalizzata, autoritaria e con un’economia moderna. In parole povere, nessuno dovrebbe aspettarsi che il museo sia in prossima chiusura.

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