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Numero 16(61)
L’Europa contro la guerra

    Per tutto settembre e l’inizio di ottobre gli USA hanno portato avanti una massiccia campagna propagandistica mirata a convincere il mondo che l’invasione preventiva dell’Iraq è una cosa giusta.
    Gli americani hanno addirittura cominciato una guerra psicologica contro l’Iraq: per la prima volta dopo il 1991 aerei della coalizione internazionale si sono messi a lanciare volantini sopra il territorio irakeno. In totale gli aerei britannici ed americani hanno già lanciato circa 120 mila manifestini sopra le zone meridionali e settentrionali. I volantini, scritti in lingua araba, avvisano della “penitenza immediata per i tentativi di attacco contro le forze della coalizione”. Nonostante l’ammonimento gli aerei sono stati attaccati dalle truppe di difesa contraerea irakena, e i caccia americani hanno reagito con un colpo al centro di comando della difesa contraerea al sud del Paese.
    I pubblici ufficiali americani hanno dichiarato che per il momento non sanno dire se almeno un abitante irakeno abbia letto il loro messaggio. “Il nostro obiettivo è quello di portare l’avviso. Gli dobbiamo spiegare perché li bombardiamo”, ha detto un rappresentante del Pentagono. Probabilmente gli USA non possono più fermarsi senza danneggiare la loro immagine di superpotenza.
    D’altronde Bush ha già dichiarato che Saddam può mantenere il potere se l’Iraq adempirà ai requisiti della comunità mondiale.
    Il Presidente USA interviene regolarmente con appelli il cui messaggio principale è quello che il dittatore irakeno rappresenta una minaccia per tutta l’umanità. Simili dichiarazioni di Bush sono dovute al fatto che Baghdad sfrutta con notevole successo la mancata volontà della maggioranza dei paesi membri dell’ONU a rilasciare agli USA il mandato per l’operazione, che non è bastevolmente motivata. In più il regime di Husayn dimostra in tutti i modi disponibilità alla pace. Però, dopo che Saddam Husayn ha annunciato il suo assenso di accettare gli ispettori ONU, il numero di alleati degli Stati Uniti nella futura guerra sembra che abbia cominciato a ridursi. Il Cancelliere tedesco Gerhardt Schroeder si è detto contrario a nuove richieste nei confronti dell’Iraq. La Cina ha acclamato le iniziative irakene mentre la Francia ha detto che il Consiglio di Sicurezza “deve verificare che Saddam adempia alla sua promessa”.
    Dall’altra parte il Segretario generale dell’ONU Kofi Annan ha dichiarato che la decisione dell’Iraq di lasciar venire nel Paese gli ispettori internazionali di armamenti non è sufficiente per risolvere la crisi. Ha sottolineato che la comunità internazionale non può semplicemente tornare ai propri impegni, prima deve assicurarsi che agli ispettori in Iraq sia concessa piena libertà di azione, e che incontrino completa cooperazione da parte di Baghdad.
    Numerosissime sfilate contro l’operazione militare in Iraq hanno avuto luogo in Spagna, Italia, Svizzera.
    L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa si è espressa contro gli attacchi militari all’Iraq che non si basino su concrete decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a questo proposito, ed ha marcato la propria disapprovazione verso i preparativi degli USA ad azioni di questo genere. “Nella mancanza di chiara approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza qualsiasi azione unilaterale degli Stati Uniti anche con appoggio di altri paesi può destabilizzare lo stato del mondo e colpire seriamente il prestigio dell’ONU. L’approccio unilaterale può portare al verificarsi di disaccordi tra paesi democratici, e allo sbriciolamento dell’unità della comunità internazionale nella lotta contro il terrorismo”, dice la risoluzione approvata alla sessione della PACE.
    La propria disapprovazione esprimono anche i capi di diversi regimi moderati musulmani che hanno paura in primis della pressione da parte della “strada” radicale, e poi che gli americani ci prendano gusto e possano poi buttar giù anche loro. La disapprovazione è stata espressa addirittura dalla Turchia, alleato fedelissimo degli USA, e la spiegazione è molto semplice: il Paese è a ridosso delle elezioni, e la collaborazione con gli USA è assolutamente impopolare. E poi anche il Vice Premier irakeno Tariq Aziz ha detto che il suo Paese “non considererà più la Turchia paese amico” se permetterà agli Stati Uniti di sfruttare le proprie basi militari per colpire obiettivi nel territorio irakeno.
    Peraltro la Turchia per ogni evenienza ha cominciato a preparare i campi per eventuali profughi, il numero dei quali può andare da 30 a 250 mila.
    Anche il direttore della CIA George Tenet ha espresso critiche alla posizione di George Bush sull’Iraq: secondo Tenet è poco probabile che Saddam si decida nel prossimo futuro a colpire gli USA con l’impiego di qualsiasi tipo di armi di sterminio. Tenet però ha avvertito che, se gli USA decideranno di cominciare la guerra contro l’Iraq, Saddam sicuramente ricorrerà alle armi di sterminio contro di loro.
    Questi attacchi si sono resi più forti dopo la fuga di notizie riguardo alle quali il Pentagono avrebbe elaborato un piano di occupazione dell’Iraq: ciò vorrebbe dire che le truppe USA ci rimarranno a lungo e il numero di perdite sarà enorme. Un’altra novità poco piacevole per Bush è stato il conferimento del Premio Nobel per la pace all’ex-Presidente degli USA J. Carter. Il presidente del Comitato Nobel Gunnar Berge ha dichiarato che l’assegnamento del Premio Nobel per la pace a Carter va visto come reazione della comunità mondiale alle azioni dell’attuale Presidente degli USA George Bush nei confronti dell’Iraq.
    Il Presidente della Russia Vladimir Putin non si è lasciato persuadere da Tony Blair ed ha rifiutato di favorire una risoluzione ONU in base alla quale gli americani potrebbero cominciare l’operazione militare contro l’Iraq. Anzi, ha fatto capire al Premier britannico che la Russia ricorrerà al diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU se Stati Uniti e Gran Bretagna cercheranno di far passare una loro risoluzione sull’Iraq. “La Russia non dispone di dati attendibili sulla presenza in Iraq di armi nucleari o altri tipi di armi di sterminio, né abbiamo avuto prove convincenti della loro presenza dai nostri partner”, ha detto il Presidente all’uscita dalle trattative. “Anche noi temiamo che queste armi in Iraq ci siano, ecco perché siamo a favore dell’invio degli ispettori”, ha detto Putin. “Ma le preoccupazioni sono una cosa, e dati obiettivi un’altra”.
    D’alta parte tutt’e due camere del Congresso statunitense hanno approvato una risoluzione ad hoc che permette a Bush di agire in Iraq autonomamente, senza sanzioni ONU. La risoluzione prevede che entro 48 ore dopo la presa di decisione sull’inizio delle azioni belliche il Presidente americano sia tenuto ad informarne il Congresso, motivando la necessità di ricorso alla forza. Il Vice Primo Ministro Tariq Aziz in visita in Libano ha detto che non è sorpreso dalla decisione del Congresso USA, che ha permesso a George Bush di attuare l’operazione militare in Iraq. “L’Iraq non minaccia nessuno: né i Paesi vicini, né l’America. Bush vuole conseguire egemonizzare interamente la regione, vuole controllare il petrolio e perciò ricorre al controllo politico e militare”, ha detto Aziz, aggiungendo che il suo Paese è pronto a contrastare l’aggressione americana.
    Nel frattempo il novizio Premio Nobel per la pace J.Carter ha dichiarato che il Congresso USA ha commesso un errore votando a favore della risoluzione che concede al Presidente George Bush la possibilità di inferire un colpo bellico all’Iraq.
    L’ex-Presidente USA ha anche rilevato che l’argomento dell’azione bellica contro l’Iraq deve essere deciso attraverso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e che Washington non deve agire in modo unilaterale. J.Carter ha riconosciuto che la pressione internazionale sugli USA ha dato qualche risultato: l’amministrazione di G.Bush ha modificato significativamente la tonalità delle sue dichiarazioni a proposito di azioni unilaterali nei confronti dell’Iraq.
    Sono incerti influenti gruppi élitari in USA e Gran Bretagna, in particolare in USA il numero di sostenitori di Bush nel conflitto con l’Iraq si è ridotto dal 65% a metà settembre al 58% verso fine mese, mentre il 52% dei rispondenti esprimono la preoccupazione che il Presidente “abbia troppa fretta nella soluzione forzosa del problema irakeno”.
    L’attenzione degli americani è stata nuovamente attirata dagli avvenimenti all’interno del Paese, dove Bush non si presenta nei migliore dei modi. Non hanno aiutato neanche le dichiarazioni terrificanti della presenza a Baghdad di armi nucleari portatili opure dei mezzi per loro produzione, della massiccia della produzione di virus e del patrocinio di Al Quaida. È fallito anche il tentativo di gonfiare la notizia dell’arresto di un carico di 15 chili di uranio arricchito che sarebbe stato sulla rotta dell’Iraq. Poco dopo era venuto fuori che non erano 15 chili ma 150 grammi, e non di uranio ma di miscela di zinco, manganese, ferro e zirconio. Secondo gli esperti che hanno condotto l’analisi della sostanza sequestrata la miscela non è né radioattiva né esplosiva, mentre la scritta “primarily youranuom” che ha suscitato sospetti della polizia è priva di senso.
    Adesso cercando di accaparrarsi garanzie sulla disponibilità dell’Iraq alla collaborazione, gli ispettori dei problemi di armamenti dell’ONU hanno inviato al governo irakeno una lettera in cui vengono sottolineati ancora una volta tutti i punti dell’accordo raggiunto all’inizio del mese a Vienna, che riguarda la ripresa dell’ispezione di diverse unità nel territorio del Paese. La lettera diffusa tra i membri del Consiglio di Sicurezza contiene la richiesta all’Iraq di confermare il consenso su tutti i punti dell’accordo nonché quella di garantire che agli ispettori “sarà concesso accesso immediato, incondizionato ed illimitato a diverse unità, comprese quelle che prima venivano caratterizzate come “zone sensibili”. Fanno parte di queste zone il Ministero della Difesa e obiettivi della Guardia repubblicana di Saddam Husayn, che erano prima chiusi alle ispezioni improvvise. La preparazione della guerra contro l’Iraq ha portato a un disfacimento quasi completo dei rapporti tra USA ed Israele: gli americani al momento attuale cercano di tenere buoni gli arabi per costruirne la coalizione ignorando completamente gli interessi di Israele. L’ultimo inghippo si è verificato durante la soluzione del problema sul trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme, cosa che la lobby ebraica negli USA ambisce da tempo e alla quale si oppongono gli arabi, che non riconoscono Gerusalemme come capitale di Israele. Quando il Congresso USA ha approvato questa decisione, Bush ha dapprima firmato il documento, ma subito dopo ha notato che la politica dell’amministrazione americana nei confronti di Gerusalemme e del Medioriente rimane invariata e il problema di status di Gerusalemme verrà risolto definitivamente nelle trattative tra israeliani e palestinesi.
    D’altronde un alleato improvviso degli USA si è già trovato: è stata la Romania che ha offerto agli USA le sue basi aeree e porti sul Mar Nero per l’attacco contro l’Iraq, nella speranza che ciò faciliti il suo ingresso nella NATO. Contemporaneamente il Presidente Ion Iliescu ha dichiarato che la Romania offrirà solo servizi di trasporto e non truppe. Tutto ciò però può cambiare molto presto se gli europei non riusciranno a realizzare il loro sogno di costruire forze d’aviazione europee, per le quali l’Iraq può servire da “allenamento”.
    La domanda è se gli USA si decideranno a cominciare la guerra in tale compagnia? Nel caso George Bush decida che è la migliore strada per essere rieletto, probabilmente la risposta è “sì”.

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