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Numero 1(92)
Intervista a Yegor Timurovich Gaidar,
uno dei protagonisti politici dei difficili anni ’90


    - Yegor Timurovich, oggi molti imprenditori russi sono preoccupati, ritenendo che sia possibile una revisione dei risultati della privatizzazione, una drammatiche restrizioni per il settore privato dell’economia, una marcia indietro. Secondo Lei, potremmo assistere a questo tipo di sviluppi, in Russia? Ormai è chiaro, infatti, che ad essere penalizzata dalle autorità non è solo la grossa impresa, ma anche quella media e addirittura quella piccola: centinaia di aziende ed industrie private, anche quelle più piccole, in tutto il Paese, o sono già chiuse o sono sull’orlo della bancarotta a causa di maldestre e spesso dolose ingerenze nell’economia da parte di funzionari pubblici...
    - L’impresa piccola e media, nonostante tutto, sopravvive. Per accertarsene, non bisogna basarsi sul numero di imprese ufficialmente registrate, molte delle quali sono già fallite, o sono finite nel settore mezzo sommerso o anche sommerso dell’economia... E poi, chi è in grado di calcolarne il numero esatto? Dovremmo invece prestare attenzione a un altro fatto: l’occupazione in Russia negli ultimi anni è aumentata; 10 milioni di posti di lavoro in piú. E nella grossa impresa non si registra un aumento di posti di lavoro. Dove sono impiegati allora, questi dieci milioni di persone? Nella piccola e media impresa.
    Quei provvedimenti che sono stati presi dal Governo e dal Parlamento per deregolamentare l’economia, pure con un certo ritardo, hanno dato un effetto positivo. Ma ora la situazione è percolosa. Ciò è dovuto ad una sorta di atteggiamento “dimostrativo”. Le autorità hanno fatto di tutto ,come hanno detto più volte e addirittura - per quanto mi risulta - hanno pensato sul serio, per dimostrare che il caso della YUKOS era unico nel suo genere, legato ad una lotta politica, al fatto che si doveva impartire una bella lezione agli oligarchi, e basta, senza che una cosa del genere potesse mai ripetersi. Ma le autorità locali, regionali... Per esse non è importante ciò che dice il potere centrale, ma ciò che fa. E se è possibile trattare così una compagnia petrolifera colossale che estrae più petrolio che tutta la Libia, molti cominciano a ragionare in tal modo: “Perché, allora, io, Ivan Ivanovich (il russo “Marco Rossi”, uomo qualunque, ndt.), non posso chiamare a rapporto un imprenditore, per dirgli: “Se tu, figlio di buona donna, non versi la quota necessaria al mio fondo elettorale, ti manderò tante di quelle ispezioni che ne non ne hai un’idea”?
    - Nella situazione venutasi a creare il business può appoggiarsi solo all’opinione pubblica. Ma per la società, un imprenditore è spesso un personaggio negativo, da lui non ci si aspetta niente di buono. Cosa dovrebbe fare l’imprenditoria russa per farsi stimare di più dalla società?
    - Certamente, la nostra imprenditoria, che in forza di motivi storici non vanta per tradizione comportamenti conformi alle norme etiche, ed è nata in cicostanze socio-politiche particolari, ha fatto parecchie cose per guadagnarsi la sfiducia dei nostri cittadini. Villanie provocatorie, ostentazione delle proprie ricchezze, competizione nei consumi smodati (chi ha la cravatta più costosa?), atteggiamenti ormai resi famosi dalle barzellette dei primi anni postsovietici: tutto ciò era stupido, pericoloso e disgustoso. Ma pare che sia stato inevitabile. È possibile che una cultura e delle tradizioni nascano immediatamente in un Paese che per diversi decenni ha eliminato la proprietà privata? Che non sia d’uso vantarsi di un nuovo yacht o elicottero, ma piuttosto aprire centri come quello di Rockefeller, investire soldi in progetti umanitari e sociali? Negli ultimi anni, del resto, tali tendenze positive cominciano a intravedersi, e non si tratta di progetti del tipo “partnership fra lo Stato e il settore privato”, in cui uno spilla soldi all’altro, ma di iniziative giuste, come quelle di Khodorkovskij, nell’ambito della “Russia aperta”: iniziative che prevedevano il supporto dei mass media, di progetti internet, di strutture formative e previdenziali. Si può forse chiedere di meglio? Ma la cosa più seccante è che proprio in questo momento, dallo Stato è arrivato il monito: “Non abbiamo bisogno di tutto questo! Quando e cosa servirà, ve lo diciamo noi”. Ma per il fatto che allo Stato “si regalino delle uova”, anche se più costose e storicamente valide, la gente non cambia la propria opinione sulle imprese.
    - Lo Stato si comporta veramente come se fosse interessato alla creazione nel Paese di una normale imprenditoria. Tuttavia lo Stato non è cosa stabile e inerte. Come può diventare la linea di governo nei prossimi anni? Cambierà? Modificherà il suo atteggiamento nei confronti degli imprenditori?
    - Quale sarà la linea di governo, non lo voglio pronosticare. Non credo che cambi radicalmente. Come non credo che vada sottovalutata la sua stabilità in prospettiva a mezzo termine. Sono importanti altre cose. Negli scacchi, a volte, non si “calcola”, ma si valuta. E se ci mettiamo a valutare la situazione, a pensare com’è nel 2005, e come potrebbe diventare per il 2010, è possibile dire una cosa: nei grandi Paesi industrializzati, che vantano un alto livello di istruzione pubblica, le linee di governo autoritarie non sono stabili. In che modo crollano i regimi autoritari? Sempre in modo diverso, e per parecchi diversi motivi, da una calamità naturale al calo dei prezzi dei prodotti principali d’esportazione. Tali regimi non sono infatti capaci di affrontare problemi seri, le sfide con le quali le contingenze li obbligano a confrontarsi. Sono convinto che in Russia, in prospettiva a mezzo o a lungo termine si riesca a far nascere una democrazia perfetta. Sarebbe bello se ciò avvenisse in modo mite, senza violenza, senza rivoluzioni. Dio ci salvi dal viverne un’altra. Nel secolo scorso la Russia ne ha viste anche troppe.
    Più intelligente sarà l’élite, più chiaramente capirà l’inevitabilità del passaggio ad un ordinamento sociale completamente democratico, e più tranquillo sarà di riflesso questo passaggio. Più ottusa sarà l’élite, più devastanti, putroppo, saranno i cataclismi. Non si riuscirà a rendere la Russia stupida e incolta. È possibile, attraverso la minaccia del servizio di leva provocare un’ondata di emigrazione di “cervelli”, degli intellettuali più capaci e promettenti della giovane élite, ma il Paese non diventerà pertanto più incompetente. È vero che il numero di talenti si ridurrà, e ciò avrà un certo effetto sulla sua crescita economica nazionale nel XXI secolo. Ma il Paese non ritornerà sottomesso e ubbidiente, tradizionalista, agrario.
    - Guarderà con un sorriso triste a molte mosse dei politici di oggi, dopo aver avuto l’occasione di essere alla guida del Paese in momenti veramente cruciali?
    - Sono stato tanto tempo in politica, sia nel potere esecutivo, sia in quello legislativo. Quest’esperienza certamente permette di capire meglio cosa si sviluppi nel settore economico-sociale e in quello politico-sociale, e in che modo. Putroppo, per uno studioso che non possiede tale esperienza, anche se molto intelligente e competente, è veramente difficile comprendere molte di queste cose. Me lo ricordo anch’io: ti metti a formulare alcune supposizioni, basandoti su libri, su teorie. E dopo, avendo visto come in realtà funzionano le cose, cominci a capire di più. Oggi per me è più facile capire cosa succedeva durante la rivoluzione francese o russa, perché tra questi eventi, sotto certi aspetti e riguardo a molti meccanismi ravviso molte somiglianze. Queste esperienze sono molto utili per emancipare la propria visione dei fatti da quella dei libri e degli articoli letti.
    - E tuttavia, che ne dice, come sarà il Paese e la sua dirigenza nei prossimi anni?
    - Non so come rispondere. Il motivo per il quale non voglio pronosticare nulla sta nel fatto che prima pensavo di poter dire quali e quante idiozie si possono fare cercando di risolvere un certo problema. Ora invece sono certo di non potermela assumere, la responsabilità di predire il numero di sciocchezze che è in grado di commettere il potere russo.
    - Nelle aree postsovietiche intanto scoppiano moti rivoluzionari: “la rivoluzione delle rose” in Georgia, “la rivoluzione arancione” in Ucraina... E da noi, secondo lei, ci sarebbero le premesse per un’altra rivoluzione russa?
    - Ciò che è successo in Ucraina, è un tentativo di affrontare quelle cose che non erano state affrontate negli anni precedenti. L’Ucraina non ha vissuto una rivoluzione come quella russa, in cui i cambiamenti sono stati molto piú radicali, seri e anche pericolosi. Noi abbiamo uno stranissimo atteggiamento storico nei confronti della rivoluzione: la vediamo come qualcosa di positivo. “La rivoluzione, com’è romantico, com’è bello!”. In realtà, la rivoluzione è una cosa terribile. È una svolta drammatica nella sorte di un popolo intero, un momento tragico della storia. Noi l’abbiamo vissuta nei primi anni novanta. Dopo questi cataclismi si è andata ricostruendo una parvenza di normalità. Spero che in Ucraina non debbano vivere tutto questo nella stessa forma. Dio gliela mandi buona!
    E per quanto riguarda la possibilità di una nuova rivoluzione da noi... Lei mi fa questa domanda oggi... Due anni fa ero sicuro che una cosa del genere in Russia fosse improbabile. Mi pareva che piano piano stessimo diventando una società stabile e al contempo noiosa. Ci serve, tutto sommato, proprio questo: essere per alcuni decenni “una Russia noiosa”, per riprendere fiato dopo tutte le “avventure” del Novecento. Spero tuttora che si riesca ad evitare il disastro di una nuova rivoluzione russa nel ventunesimo secolo. Mi è toccato essere alla guida del Governo negli anni della rivoluzione, e posso dire onestamente che non augurerei quest’esperienza neanche ad un mio nemico...
    - Una volta ha detto di capire benissimo che ogni Governo che si assume la responsabilità di portare a termine la prima fase delle riforme in una società postcomunista, è”un Governo condannato in anticipo”...
    - È così. Anche i Paesi in cui, in forza di motivi storici, il passaggio dall’ordinamento comunista alla democrazia è stato meno complicato che in Russia, - come l’Ungheria, la Repubblica Ceca, l’Estonia - hanno dovuto affrontare problemi colossali. Facciamo l’esempio della Polonia, in cui le riforme sono state appoggiate dalla Chiesa cattolica, e l’ordinamento “precomunista” non era stato ancora dimenticato. E nonostante questo... Lesek Balzerovic, un mio amico, e uno dei riformatori più grandi del secolo scorso (non lo dico perché è il mio amico, ma perché è vero), ha dovuto portare una croce pesante, e la maggior parte dei polacchi lo malediceva.
    - Qual’è per Lei la realizzazione più importante di Yegor Gaidar economista, la realizzazione più importante di Gaidar politico, la causa principale di Yegor Timurovich Gaidar come individuo, come uomo normale?
    - Penso ci sia una sola risposta a tutte e tre le domande. Quando venni a lavorare al Governo russo, l’URSS stava dichiarando la bancarotta. Le riserve auree valutarie ammontavano a 16 milioni, non miliardi, ma milioni di dollari, cioè, praticamente, allo zero. Lo Stato Russo non aveva abbastanza pane per sfamare la propria gente, ma aveva trentamila cariche nucleari, delle quali undicimila e mezzo strategiche e operativo-tattiche, e le altre tattiche. La Russia non aveva la sua Banca Centrale, perché c’erano sedici banche che stampavano il denaro pubblico; la Russia non aveva un servizio doganale, le dogane dei porti più grandi non erano sottoposte né alle autorità sovietiche, né a quelle russe; la Russia non aveva un servizio di frontiera; la Russia di fatto non aveva le stesse frontiere. Il Paese si trovava alla soglia di una catastrofe globale, più imponente di quella che aveva affrontato dopo la rivoluzione del 1917, perché, a prescindere da tutto il resto, avevamo trentamila cariche nucleari difficilmente controllabili. E il nostro Governo, diretto da Boris Nikolaevich Eltsin, con tutti i problemi nati successivamente, è riuscito a prevenire quella catastrofe. Ed è questa, secondo me, la cosa più importante di quelle che ho fatto con i miei colleghi.
    - Della sua vita privata si sa pochissimo, a parte, magari, che Lei non è diventato oligarca, non ha fatto fortuna, ha preferito rimanere studioso, che sua moglie è Maria Strugatskaja, la figlia del famoso scrittore di fantascienza, che è un padre felice...
    - Quando lavoravo al Governo, tornavo a casa alle tre di notte e ne uscivo alle otto di mattina. I miei figli per molto tempo sono cresciuti vedendomi solo in TV. Ora ci vediamo, grazie a Dio, più spesso.
    - E quale strada hanno scelto i suoi figli quando sono diventati grandi?
    Il mio figlio maggiore è impegnato nella media impresa, si è laureato all’Accademia dell’economia nazionale; il secondo fa analista in un’agenzia di rating; mia figlia, dopo aver iniziato una carriera da capogiro in un’agenzia di stampa, ha deciso di impegnarsi nella teoria economica. Ora guadagna molto meno di quello che prendeva nell’agenzia, ma le piace ciò che fa. Il piú piccolo per ora studia a scuola. E finalmente, il 10 gennaio, è nata la mia prima nipote, che non ha ancora ricevuto un nome. Per ora la chiamiamo “Petrovna” (figlia di Petr).
A cura di Andrei Tsunskij

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