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Numero 4(84)
Giotto a Mosca

    Mosca, sale della Biblioteca di Letterature Straniere. Primavera. I volti paffuti, gravi ed intenti di Giotto, “senza fiamma e senza ombre”, come direbbe il D’Annunzio riguardano silenziosi gli osservatori d’Oltr’Alpe che curiosi si affollano attorno ad essi. I visitatori ammirano l’essenzialita’ nell’arte di Giotto, quella sua capacita’ di esprimere attraverso tratti semplici, e delicati colori pastello drammi umani e religione mescolati. I cristiani in piu’ ne venerano l’iconicita’ teologica, ma ne sanno apprezzare anche la creativita’ ed il talento rappresentativo, specie per cio’ che concerne i suoi diretti richiami agli apocrifi (vedi Giudizio Universale), da sempre per gli artisti generosa sorgente d’spirazione, come per esempio l’Apocalisse di Giovanni. Giotto quasi ipnotizza, con quella sua maniera realistica, ormai gia’ preanunciante l’esplosione della dimensione “Uomo” propria di Quattrocento e Cinquecento. Giotto affascina anche adesso persino il profano russo che si trova a passare di li’ per caso, con quei peli sul petto di Cristo, quelle lacrime sui volti delle madri degli Innocenti, quelle ciglia lunghe del discepolo prediletto, insomma tutti quei particolari e quelle finiture che si lasciano il registro espressivo standardizzato del Medio Evo alle spalle. Sara’ colpa anche della splendida campitura piatta celeste che ricopre l’intera volta della Cappella Scrovegni esposta in miniatura alla mostra. Ai russi quel celeste intenso probabilmente fa venire voglia di andare a visitarla di persona, a Padova. Agli italiani forse invece potrebbe ricordare un’altra volta, cioe’ quella della Basilica Superiore di S. Francesco ad Assisi, crollata nel terremoto del 1997, terremoto che ha investito i luoghi sacri marchighiani della Cristianita’ e dell’arte insieme, distruggendo il S. Girolamo e il S. Matteo di Cimabue, il maestro di Giotto, oltre che a danneggiare alcuni dei primissimi affreschi realizzati da quest’ultimo. Se il fato continua a riservare al pittore spiacevoli sorprese, egli e’ fortunato, ad avere chi gli vuole bene, e che per lui fa veramente di tutto. Non stiamo parlando dell’italiano medio, un po’ pigro e poco intraprendente, anche se armato delle migliori intenzioni, bensi’ del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, o piu’ precisamente dell’Istututo Centrale per il Restauro, fondato allo scopo di recuperare e salvaguardare il patrimonio artistico italiano. L’Istituto Centrale per il Restauro, seguendo le indicazioni espresse nella “Carta del Rischio” sottoscritta nel 1987 a tutela delle opere d’arte e dei monumenti nazionali tiene d’occhio oltre 700 beni di rilevanza storica ed artistica distrubuiti su tutto il territorio italiano, con particolare atenzione fatta alle regioni di Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio e Campania, per le quali si sta sviluppando addirittura un software informatico di diagnostica e monitoraggio automatico. Un organo giovane, l’ICR, all’interno della storia delle istituzioni amministrative italiane, ma che ha gia’ portato a temine interventi di grande rilievo. Ottima come si diceva la sovrintendenza prestata ai lavori di restauro degli affreschi ad Assisi, terminati gia’ nel 1997. Ottimo anche il ripristino dell’opera di Raffaello alla Farnesina, la famosa Loggia di Amore e Psiche, salvata dalla corruzione di restauri previ del tutto snaturanti (l’asportazione maldestra dell’originario azzurro di Raffaello dagli sfondi). Cio’ di cui i mosocoviti hanno “un assaggio” nella Biblioteca (purtroppo in fotocopia, ma, come dice il proverbio, meglio che nulla) e’ il frutto di una filosofia del restauro nuova, a meta’ tra la medicina orientale ed i codici di eco-sostenibilita’. Al posto di sottoporre il bene a periodici, lunghi, costosi e soprattutto rischiosi ritocchi, sembrerebbe meglio “prevenire che curare”, ovvero individuare scientificamente le cause del degrado dell’opera d’arte e concentrarsi sulla loro eliminazione o per lo meno sul loro contrasto. Si ha cosi’ un capovolgimento della prassi tradizionale, che pone l’intervento diretto sulle opere al primo posto. Nel caso degli affreschi della Cappella degli Scrovegni questo tipo di impostazione operativa sembra avere funzionato, nonostante i dipinti, messi a dura prova dall’umidita’ e dall’inquinamento versassero in condizioni tutt’altro che buone. Agli inizi dell’Ottocento la Cappella era in totale stato di abbandono, al quale si sommava nel 1817 il crollo del portichetto dell’ingresso principale, il quale proteggeva i locali interni dall’aggressione diretta delle intemperie, e che insieme al Palazzo degli Scrovegni faceva da contrafforte all’intera struttura architettonica. La rimozione degli affreschi esterni barocchi rendeva poi ulteriormente permeabile il muro di facciata, lasciando via libera alle dannosissime infiltrazioni piovane, e durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti pregiudicavano definitivamente la situazione, contribuendo ad accelerare il processo di polverizzazione e dispersione dei colori dell’opera (in particolare l’azzurro di sfondo). Senza contare l’effetto del restauro del Tintori del 1957, che sebbene condotto egregiamente, veniva completato attraverso l’uso di tinte a resina in poco tempo degenerate. La particolare struttura dell’edificio ha permesso di ricreare nei locali degli affreschi un microclima artificiale protetto dall’inquinamento atmosferico, dall’umidita’, dalla luce del sole, e dai bioritmi antropici. E’ stato chiuso il portone principale; e’ stato creato un vestibolo di vetro con filtri atmosferici presso l’ingresso laterale; sono stati coibentati ed impermeabilizzati tetto e pareti, le finestre chiuse e schermate agli UV ed infrarossi, ed infine e’ stato regolamentato il flusso visitatori. Solo successivamente si e’ proceduto alla fase finale del restauro, che e’ durata in tutto un anno (dal 2001 al 2002). Encomio sicuramente anche al Centro di Conservazione dell’Istituto di Belle Arti dell’Universita’ di New York, alla consulenza scientifica del quale si deve l’individuazione delle cause del deterioramento degli affreschi giotteschi. Il lavoro interdisciplinare dell’équipe, composta da storici dell’arte, architetti, restauratori, chimici, grafici e fotografi, insieme ad una strumentazione all’avanguardia, hanno permesso di raggiungere in tempo record risultati qualitativi mai ottenuti nelle precedenti operazioni, e hanno consentito di mettere in luce nuovi e sorprendenti particolari dell’opera. Spolverando il vecchio discorso sulla cooperazione tra enti di ricerca e sulla solidarieta’ internazionale, bisogna anche menzionare l’impegno intrapreso dall’ICR per il restauro rispettivamente del Monastero di San Mose’ l’Abissino (deir Mar Musa el Habasci) in Siria, attivo gia’ dal 1985, e quello della Moschea Bajrakli nel bazar di Peja, in Kosovo, dal 2001. Il primo, anticamente torre di difesa del limes romano, risulta di particolare interesse storico artistico per la grande quantita’ di affreschi del XI e del XII sulle pareti interne della chiesa, a volte persino stratificati (affreschi che si tenta di ripristinare parallelamente alla ristrutturazione dell’edificio). Per la seconda, presso la quale sono conservati cicli decorativi e pittorici di grande rilievo, danneggiati dall’incendio del 1999 durante la guerra, sono necessarie misure d’urgenza. Per l’ICR il lavoro a questi due monumenti si rivela anche strumento di formazione per le nuove leve del restauro e della conservazione beni culturali, alle quali purtroppo non si e’ ancora provveduto a garantire un percorso educativo accademicamente riconosciuto. Il lavoro dell’ICR e dei tanti centri di restauro italiani infatti passa sempre un po’ inosservato, almeno sino a quando sopra le nostre teste all’improvviso non risplende nuovamente in tutto il suo cromatismo e la sua plasticita’ il genio di un Michelangelo, alla Sistina, oppure attorno a noi, nella Cappella degli Scrovegni di Giotto, dove vengono armonicamente scandite da uno dei massimi artisti mai esistiti le salienze del Vecchio e del nuovo Testamento. Giotto seppe bene fare propria la maestria dei pittori fiorentini e la esporto’ nelle regioni d’Italia piu’ diverse, prima fra tutte il Veneto e Padova. E proprio a Padova, nel 1987, in occasione del 650° anniversario della morte del pittore nasce l’idea di una mostra fotografica itinerante che supplisca all’impossibilita’ di trasportare i capolavori giotteschi all’estero, eternamente ed irrimediabilmente domiciliati alle pareti delle chiese, le sue “tele”. La mostra allestita a Mosca e’ stata aggiornata all’ultimo restauro. Alle fotografie e’stato affiancato inoltre un modello ligneo in scala 1: 4 della Cappella, che regala all’osservatore lo stesso impatto visivo che si avrebbe visitando il vero edificio. La mostra ha lo scopo ulteriore di avvicinare la cultura italiana a quella russa. L’iniziativa e’ stata promossa dagli enti di competenza quali la Regione Veneto, la Provincia, il Comune e la Camera Commercio/Industria/Artigianato di Padova, l’Ente Nazionale Italiano per il Turismo ed il Consorzio Giotto. Un sostegno organizzativo e’ giunto dall’Ambasciata d’Italia a Mosca, oltre che dall’associazione no profit “Amici della Russia”, ormai da piu’ di tre anni impegnata nella cooperazione a tutte quelle iniziative culturali nei settori artistico, culturale, sociale, turistico, formativo ed educativo che promuovano la reciproca conoscenza e la solidarieta’ fra i due paesi. Anche la mostra sulla Cappella si inserisce all’interno del progetto interculturale che vede protagonista il Veneto e soprattutto Padova, citta’ ove una fiorente classe imprenditoriale guarda con interesse a prospettive di business in un paese “supernova” come la Russia, nel quale ogni cosa si evolve e si sviluppa alla velocita’ della luce. Gia’ sono stati intessuti rapporti di una certa solidità non solo con Mosca e la regione moscovita, ma anche con quella di Vladimir, ricca di materie prime ed in forte espansione economico-industriale. Forse alcuni ricorderanno la visita nel novembre del 2002 da parte di una delegazione di autorita’ della citta’ russa, anch’essa organizzata grazie all’aiuto di “Amici della Russia”, e la firma di un protocollo d’intesa commerciale che antecede quello di cooperazione “Mosca-Firenze” siglato nel marzo dello scorso anno. Si preannuncia gia’ un avvio in grande stile alla stagione turistica estiva 2004 per Padova, che anche grazie alla pubblicizzazione estera degli affreschi giotteschi si prepara anche quest’anno ad accogliere quantita’ di turisti ed appassionati d’arte simili a quelle ogni anno affluenti ad Assisi.

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